Gpt-4 è ineluttabileL’assurda proposta di fermare lo sviluppo dell’IA per sei mesi

L’Institute of Future Life ha pubblicato una lettera con cui chiede un divieto temporaneo alle tecnologie più avanzate. Iniziativa ambiziosa ma difficilmente realizzabile, per motivi politici, economici e industriali

AP/Lapresse

Un alieno, un dio, un demone. Le intelligenze artificiali vengono spesso dipinte, anche dagli addetti ai lavori, come una tecnologia radicalmente diversa dalle altre: non un dispositivo o uno strumento ma un capitolo del tutto nuovo del progresso umano, le cui implicazioni e conseguenze sarebbero talmente abbondanti e profonde da incutere paura. Terrore. Un sentimento simile al sublime di cui scrivevano i romantici inglesi. Anche per questo aumenta ogni giorno di più il coro di chi vorrebbe provare a fermare il settore che nel giro di un anno ha cambiato tutto, rendendo disponibili a milioni di persone strumenti semplici – da usare – ma potentissimi.

Così ha pensato l’Institute of Future Life, un’organizzazione senza scopi di lucro che lavora per ridurre i rischi esistenziali che l’umanità corre, in particolare quelli prodotti dall’umanità stessa, come l’armamento nucleare, la biotecnologia, il cambiamento climatico. E le intelligenze artificiali. L’ente ha pubblicato una lettera aperta che, nel momento in cui scriviamo, conta circa milletrecento firmatari tra scienziati, ricercatori, imprenditori e attivisti, tutti uniti nel chiedere di «mettere in pausa le sperimentazioni sulle intelligenze artificiali». Più precisamente, quelle su tutti i sistemi più avanzati di GPT-4, il modello linguistico presentato poche settimane fa da OpenAI, la stessa azienda produttrice di ChatGPT. «I sistemi di AI potenti dovrebbero essere sviluppati – si legge nella lettera – solo se si ha certezza che i loro effetti saranno positivi e i loro rischi gestibili». Ciliegina sulla torta: anche Elon Musk ha aggiunto la sua firma, a corredo di una polemica in corso ormai da tempo proprio con Sam Altman, ceo di OpenAI, nonché ex socio di Musk nell’impresa.

Al di là della sovrumana capacità di quest’ultimo di infilarsi in ogni dibattito, la richiesta dell’Institute sembra ambiziosa, lodevole ma difficilmente realizzabile, per molti motivi: innanzitutto gli enormi interessi economici in gioco (la sola Microsoft ha stretto una partnership multimiliardaria con OpenAI pochi mesi fa) ma anche per le complesse dinamiche dell’innovazione tecnologica in un mondo altamente globalizzato. In questo momento, infatti, la Cina sembra inseguire gli Stati Uniti nel campo delle intelligenze artificiali generative (come ChatGPT) ma la corsa è appena iniziata ed è ormai fusa alla guerra commerciale per i semiconduttori in corso da tempo. Difficile immaginare che gli Stati Uniti vogliano rinunciare al vantaggio competitivo sull’avversario nel nome di ideali – giusti, certo, poco remunerativi. Volendo limitarci all’occidente, il solo stop condiviso da Stati Uniti e Unione europea richiederebbe un vero e proprio miracolo diplomatico-commerciale.

L’idea del fermo semestrale ruota attorno alla (sacrosanta) richiesta di nuove norme nazionali e sovranazionali per lo sviluppo e il controllo di queste intelligenze artificiali. Anche in questo caso, purtroppo, viene difficile pensare che il lasso di tempo sia sufficiente per analizzare e normare un settore tanto vasto e misterioso – nel senso che alcune di queste intelligenze artificiali già oggi si comportano in modo che spesso sfugge agli stessi ricercatori.

E poi si dovrebbe pensare a un organo di controllo per verificare che nessuno continui a svilupparle clandestinamente, cosa che – visti i precedenti morali del Big Tech – non ci sentiremmo di escludere. Secondo Matt Novak di Forbes, inoltre, la vera ragione per cui Musk avrebbe firmato la lettera aperta sarebbe perché gli serve un po’ di tempo per raggiungere OpenAI, o almeno per tentare di entrare nei giochi. Da tempo, infatti, la sua Tesla si definisce una «AI-company» più che un’azienda dell’automotive, e il recente successo di OpenAI lo avrebbe preso in contropiede.

Possibili doppi giochi a parte, un eventuale stop alle IA sarebbe una scelta notevole, forse troppo rischiosa, anche per l’amministrazione di Joe Biden, che l’anno prossimo si gioca la rielezione e sta nel frattempo discutendo di un possibile “ban” di TikTok, app cinese ormai considerata da un pezzo di Congresso come una cimice cinese de facto negli smartphone degli americani. Nel frattempo, secondo Goldman Sachs, circa il venticinque per cento dei lavori esistenti sarà in qualche modo influenzato dalle intelligenze artificiali: trecento milioni di posti di lavoro messi a rischio da una tecnologia che nessuno vuole fermare. O meglio: che nessuno può fermare. O così sembra.

Entra nel club, sostieni Linkiesta!

X

Linkiesta senza pubblicità, 25 euro/anno invece di 60 euro.

Iscriviti a Linkiesta Club