Step evolutiviLa connessione sempre più solida tra felicità individuale e comportamenti pro sociali

Il report sui Paesi più felici al mondo va preso con le pinze, ma contiene spunti non banali. Non bisogna accontentarsi di una “nuova” economia a misura d’uomo: ne serve una che contempli il Tutto e che non concepisca il benessere come un’idea morbida e vaga

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Come da oltre dieci anni a questa parte anche quest’anno abbiamo accolto con curiosità la pubblicazione del World happiness report. E anche quest’anno, come da diversi anni a questa parte, abbiamo appreso senza alcuna sorpresa che è la Finlandia a occupare il primo posto della graduatoria dei Paesi più felici al mondo.

Senza alcuna sorpresa non solo e non tanto per via della conferma finlandese al primo posto. È un dato di fatto da almeno sei anni, e oltretutto ritengo che il valore profondo di questo tipo di classifica non risieda nell’aspetto più ovvio ed evidente (quello di gerarchizzare i posti migliori e peggiori in cui vivere). A questo tipo di conclusioni dobbiamo arrivare approfondendo tantissimi aspetti cruciali della vita contemporanea, incrociandoli con i nostri caratteri, ciò che crediamo e a cui aspiriamo, il modo in cui ci informiamo e intendiamo la vita.

Penso invece che un esercizio di ricerca e indagine come il World happiness report serva e, anzi, sia essenziale per promuovere globalmente uno shift culturale: far passare in profondità il messaggio che il criterio chiave per valutare il successo delle nostre imprese umane sia la felicità che, come società, siamo in grado di creare direttamente e far crescere negli abitanti di una nazione. Non soltanto o in larga parte gli elementi materiali, dunque, che pure sono espressione dei diritti fondamentali, o i numeri univoci, che pure ispirano giudizi più affidabili. Bisogna quindi focalizzarsi su quell’alchimia complessa che unisce le persone e che rappresenta l’elemento basilare di ogni società umana.

Nel report 2023, un terzo dei criteri si basa infatti su una sfera che potremmo definire più intima, esistenziale, non catalogabile con dati inconfutabili. Oltre all’aspettativa di vita in buona salute, il Pil pro capite, il sostegno sociale e un basso livello di corruzione, tra i parametri troviamo anche la generosità della comunità in cui le persone si prendono cura l’una dell’altra e la libertà di prendere decisioni chiave nella propria vita. 

Un progetto di ricerca che denota la tendenza verso un equilibrio tra ciò che è incontestabilmente misurabile e ciò che non lo è. E che, a mio avviso, porta valore al report di quest’anno, specie in alcune sue parti che trovo affascinanti. A livello globale, dice il rapporto, dal 2020 si registra una costante salita della benevolenza e delle azioni prosociali – quei comportamenti che compiamo per recare beneficio ad altre persone e alla società nel suo insieme – a un livello almeno un quarto superiore rispetto al pre-Covid. 

I dati mostrano come le connessioni sociali positive e il supporto all’altro siano il doppio più diffusi rispetto alla condizione di solitudine in sette Paesi chiave, distribuiti su sei diverse regioni del mondo. La relazione con l’altro ha dunque conquistato una nuova, rinnovata rilevanza, influenzando i valori medi di soddisfazione personale, resilienza e di capacità di rivalutare alcuni aspetti della vita durante i periodi di crisi e difficoltà. 

Aiutare degli sconosciuti, sostenere economicamente delle cause, donare il sangue e fare volontariato sono gli atteggiamenti altruistici più comuni delineati nel report. E, secondo lo studio, non c’è soltanto una correlazione diretta tra la felicità individuale e l’adozione di questi comportamenti altruistici, ma questo è vero sia nei raffronti tra diversi Paesi, sia in quelli tra diversi individui.

Il movimento della felicità mostra che il benessere non è un’idea «morbida» e «vaga» – come ha detto Jeffrey Sachs, il presidente di United Nations Sustainable Development Solutions Network -, ma piuttosto si concentra su aree cruciali della nostra esistenza: condizioni materiali, ricchezza mentale e fisica, virtù personali e cittadinanza attiva. Per questo «dobbiamo trasformare questa saggezza in risultati pratici per ottenere più pace, prosperità, fiducia e civiltà nelle nostre società». Non è forse anche l’occasione per affrontare il prossimo passo evolutivo con l’ambizione di non accontentarsi di una nuova economia che sia a misura d’uomo ma che, finalmente, contempli il Tutto?

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