Il destino del motore a combustione interna sembrava segnato ma l’esecuzione sulla sedia elettrica è stata sospesa all’ultimo momento. Il voto del Consiglio Ue sul regolamento sulle emissioni dei veicoli leggeri, originariamente previsto per questa settimana, era considerato un passaggio meramente formale. Invece, all’ultimo istante si è formata una (potenziale) minoranza di blocco – Italia, Germania, Polonia e Bulgaria – che ha indotto la presidenza di turno svedese a rinviare la discussione a data da destinarsi.
Vedremo se quello che è stato finora un progetto bandiera della Commissione finirà su un vicolo cieco o se si troverà un accordo sull’asse Bruxelles-Berlino, magari prevedendo specifiche esenzioni per i motori alimentati da carburanti puliti.
Dal nostro punto di vista ci sono, in questa vicenda, tre lezioni importanti. La prima riguarda il merito della decisione. Molti hanno provato a raccontare la vicenda come un braccio di ferro tra i fautori dell’innovazione tecnologica e le resistenze quasi luddiste dei nostalgici del passato. Nulla potrebbe essere più fuorviante. È probabile che, alla fine, il motore elettrico si imporrà. Ma ciò di cui stiamo discutendo non è quale delle alternative tecnologiche sia preferibile. Al contrario, si tratta di decidere se l’arbitro debba fischiare la fine della partita prima che il tempo si sia esaurito, escludendo dal campionato una delle squadre.
Il ruolo della politica ambientale dovrebbe essere quello di fissare gli standard emissivi, non scegliere quale specifica tecnologia vada impiegata per raggiungere il risultato. E non tragga in inganno il fatto che la proposta di regolamento, dal punto di vista formale, guarda appunto alle emissioni: misurando le sole emissioni rilasciate allo scarico, e ignorando la fase a monte, di fatto si mettono fuori gioco carburanti puliti o addirittura a emissioni negative.
La seconda lezione riguarda la politica europea. È abbastanza singolare che – finalmente – si arrivi ad affrontare questa discussione solo quando l’iter di approvazione del provvedimento è agli sgoccioli. Il regolamento ha ottenuto, oltre al placet della Commissione che lo ha proposto, l’endorsement del Parlamento e l’accordo del Consiglio.
Finora i critici erano stati malamente tacitati. Bene, quindi, che si sia rotto il velo di ipocrisia che ha circondato l’intera discussione finora, ma sarebbe stato più sano avere un confronto – come si diceva una volta – franco e cordiale nelle sedi e nei momenti propri. Se questa lezione sarà stata appresa, lo vedremo in occasione dei prossimi provvedimenti altrettanto controversi, a partire dalla proposta di regolamento sul packaging.
L’ultima lezione è per l’opinione pubblica e tutti quelli che cercano di combattere battaglie culturali, a volte quasi solitarie. In tutti questi anni sollevare critiche è stato difficilissimo e ha prodotto violente campagne stampa. Eppure, alla lunga, avere il coraggio delle proprie idee serve.
Se il governo Meloni ha preso una posizione così dura; se i liberali tedeschi hanno dato una spallata alla coalizione che regge il governo Scholz; se tutto questo si è verificato, è anche perché hanno avuto a disposizione munizioni intellettuali da spendere. Spesso chi interpreta posizioni minoritarie svolge un mero ruolo di testimonianza. A volte però l’impegno paga. It ain’t over till it’s over.