Ricominciamo dal dolceIl futuro della pasticceria dipende dalle connessioni con il territorio e con le persone

Anche il mondo del dolce sta mutando il suo modo di ragionare e di concepire la cucina e le persone. A che punto è del suo cammino? Quali sono le sue prospettive? Queste le domande al centro del secondo appuntamento di Tavola Spigolosa, uno spazio di confronto, parte del progetto editoriale di Gastronomika

Dopo il primo incontro, a febbraio, che ha dato spazio alle tematiche (e alle polemiche) principali legate al mondo della ristorazione, la palla è passata alla pasticceria. “Ricominciamo dal dolce”: il titolo del secondo appuntamento di Tavola Spigolosa è sicuramente invitante quanto un cannolo straboccante di ricotta e canditi. E strizza l’occhio all’evoluzione degli ultimi anni in questo mercato. Se la ristorazione è in crisi, la pasticceria prende il volo.

«Siamo di fronte ad una fase di crescita del settore. Cominciano a vedersi i segnali di un approccio più imprenditoriale e il cambiamento che sta avvenendo nel mondo della ristorazione è lo stesso che sta avvenendo nella pasticceria»: ad aprire danze, e chiacchiere, Ernesto Brambilla, redattore di Bargionale, che ha voluto mettere l’accento sull’evoluzione degli ultimi anni.

Da una parte ci sono i pasticceri che hanno dovuto mettere obbligatoriamente il naso fuori dai laboratori e aprire i libri di economia aziendale, o farsi affiancare da figure di riferimento in grado di dar loro un supporto sviluppato in modo più pragmatico e improntato su modelli aziendali. Dall’altra ci sono i consumatori, più informati, più evoluti e sensibili alla qualità, alla ricerca e alla selezione delle materie prime.

La pasticceria contemporanea è molto di più delle torte della nonna, dei dolci anni ’80 e del tiramisù. È un mondo di valori, è territorio, è connessione, è persone. Su questo sono d’accordo tutti.

Paolo Pitti, patron dell’omonima pasticceria di Montalto Dora nella valle della Dora Baltea alle porte di Ivrea, è convinto: la parola chiave è proprio “connessione”, legata a doppio giro ad un concetto ampio di sostenibilità. «Per fare degli ottimi prodotti ci vogliono delle ottime materie prime. Ma quelle materie prime non basta assemblarle. Bisogna scoprire che storia ha quella materia prima, da dove arriva, chi l’ha lavorata. Ho iniziato ad avere questa visione imprenditoriale, cercando di recuperare gli ingredienti da quella che è la zona che sta intorno a me. Sostenibilità, infatti, non è mettere un pannello fotovoltaico. O meglio, è anche quello, ma la mia sostenibilità è territoriale. Opero spesso infatti con il cambio merci: affitto dei locali agli apicoltori, che mi ripagano con il miele prodotto dalle loro api. È una sostenibilità territoriale fatta con il lavoro di tante piccole aziende. Perché la sostenibilità può essere costruita su tanti argomenti, come ad esempio un posto di lavoro sano, che risponda anche alle esigenze dei dipendenti. È l’azienda che si adegua, abbiamo le tecnologie per farlo oggi».

L’immagine del pasticcere che abbiamo nei cassetti della memoria è diversa nel 2023. Non è più quella legata agli orari massacranti, al lavoro che inizia alle tre del mattino. Le macchine in questo hanno aiutato e hanno permesso di modificare il rapporto tra via privata e vita professionale.

Anche per Fabio Longhin gira tutto intorno al concetto di connessione. Anzi, di «colleganza», se vogliamo enfatizzare un termine a lui caro. Lui ha preso le redini della Pasticceria Chiara, creata da suo padre nel 1974, e dentro quel laboratorio c’è nato e cresciuto. Dalla tradizione a quella che può considerata una evoluzione contemporanea. «Qui da noi abbiamo un quadro di Urbansolid, raffigurante un cervello connesso con il Wi-Fi». Rappresenta il simbolo di quella connessione che guida il suo lavoro. «Da pasticcere e da uomo io voglio essere felice», dice.

«Ci hanno aiutato le storie, i prodotti, il territorio. Ci sono tutta una serie di attori che fanno in modo che questo settore si stia continuando a sviluppare sempre di più. E anche questo è connessione, rete e, soprattutto, reti italiane». Questo il commento di Gianluca Pasini, titolare del Molino Pasini, una realtà specializzata in farine tecniche, che negli anni è stata testimone del cambiamento avvenuto del settore. Con eccellenze però che fanno ben sperare il mercato italiano. «Il nostro territorio produce solo il 50% di grano tenero utile per soddisfare il fabbisogno nazionale. Le nostre aziende hanno l’obbligo di rispettare valori di sostenibilità economica per tutte le famiglie che lavorano per noi, ma le aziende devono fare profitto e per lavorare al meglio devono macinare grano: il 50% bisogna reperirlo nel mercato mondiale. Perché non tutto il grano italiano è in grado di soddisfare qualitativamente la richiesta dei professionisti».

Ritorna, anche in questo caso, il concetto di sostenibilità economica e imprenditorialità. Che trova conferma anche nelle parole di Mattia Premoli, della pasticceria La Primula di Treviglio: «Oggi noi creiamo tanti dolci nuovi, ma ancora c’è tanto mercato per i prodotti tradizionali e più classici».

Forse si sta andando, anche nella pasticceria, verso una creatività troppo spinta a discapito di quello che vuole il pubblico? Sono dubbi che fanno capolino e che espongono al ragionamento. «Produrre prodotti particolari non è un puro esercizio di stile, mi piace pensare che il prodotto sia il mezzo per fare cultura. E il gelato è tanto altro. È raccontare il territorio in cui ci troviamo». A parlare è Stefano Guizzetti. La sua gelateria Ciacco Lab di Parma (e poi di Milano) è stata premiata per il miglior gelato gastronomico. Facciamolo strano, si potrebbe obiettare. Tra i gusti al bancone anche quello alla terra: «Abbiamo voluto innescare la memoria olfattiva e fare come se fossimo un’azienda che fa vino, in cui il terreno influisce sul prodotto finale».

Ancora il territorio, ancora le connessioni tra storie e persone. E anche la ricerca. «Il buono è sempre bello, ma non sempre vale il contrario. Oggi i nostri competitor sono le industrie, che fanno prodotti sempre più buoni e validi. E noi, ci tengo tanto a dirlo, dobbiamo cercare di aprire le braccia ai giovani e alle donne, che sono il futuro». Questo il pensiero di Massimo Pica, con una pasticceria a Milano e la coppa del mondo vinta nel 2021 a Lione.

Quel che emerge dall’incontro, che quasi gorgoglia dalla Tavola Spigolosa, è senza dubbio un appello ai consumatori, chiamati in prima persona alla curiosità e al dovere di formazione. Forse, attraverso il racconto e la formazione, si vuole cercare in qualche modo di instaurare con le persone rapporti di maggior consapevolezza, qualitativa e tecnica. «Bisogna comunicare il prodotto in un modo nuovo e farlo vedere in una maniera diversa», spiega ancora infatti Gianluca Pasini. «Si deve tornare indietro per poter andare avanti», conferma anche Alberto Massucco, primo italiano a possedere una propria vigna in Champagne, con cui si è conclusa questa Tavola Spigolosa.

Perché il rischio è quello di attraversare difficoltà di dialogo, un po’ come sta accadendo nel mondo della ristorazione, che, a furia di esplorare una creatività portata all’eccesso, oggi ha messo in gioco sia la sostenibilità economica, sia il rapporto stesso con i clienti.

Eppure quel che le persone vogliono oggi può essere racchiuso nel concetto di semplicità. Una crostata, con la frolla fatta bene, il sapore del burro mescolato al sentore di caramello, della farina cotta insieme allo zucchero. Ecco, forse quel che Gastronomika si porta a casa da questo incontro sono parole che trovano concretezza nelle azioni: connessione, territorio, persone, semplicità, tecnica, consapevolezza e ricerca. Da qui parte la riflessione sulla pasticceria contemporanea.

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