“The Makanai: Cooking for the Maiko House” è passata quasi inosservata in Italia, ed è un gran peccato. Forse è colpa dell’algoritmo, che non ci consiglierebbe mai un prodotto in lingua giapponese. Forse è per il suo essere spiccatamente legata alla cultura e alle tradizioni del luogo in cui si radica, Kyoto. O forse, semplicemente, è perché non ci abbiamo ancora fatto caso. Eppure, le ragioni per godersi la nuova serie originale Netflix, orchestrata, scritta e diretta dal regista Kore-eda Hirokazu (plurivincitore al Festival di Cannes, nominato agli Oscar per il Miglior Film in Lingua Straniera nel 2019 con “Un affare di famiglia”) sono molte. Ma andiamo con ordine.
“The Makanai” è la storia di due giovanissime amiche, Kiyo (Nana Mori) e Sumire (Natsuki Deguchi), che, dalla prefettura natale di Aomori, all’estremo Nord dell’isola di Honshū, la maggiore dell’arcipelago del Giappone, si trasferiscono a Kyoto. Non per motivi di studio: le ragazze hanno deciso che, invece che intraprendere un percorso di educazione equivalente alla nostra scuola superiore, vogliono ricevere un altro tipo di formazione, piuttosto particolare. Quella che le porterà, dopo anni di sacrifici, a diventare prima delle maiko, e infine delle geiko. Ovvero, apprendiste geisha e, poi, geishe adulte. Per la loro ambizione, Kyoto è la città perfetta: la figura della geisha e delle tradizioni che le appartengono è ancora forte e rispettata, tanto che l’intero quartiere di Gion è dedicato a ospitare le maiko in formazione, suddivise in varie “case”. Kiyo e Sumire si uniscono alla casa “Saku” (germoglio, bocciolo).
Tra nuove amicizie, prime prove da superare e segreti condivisi, Sumire si mostra da subito la più dotata delle due. Kiyo, al contrario, viene presto esclusa dai corsi delle maiko. Eppure, non dovrà per forza abbandonare Saku. Ha infatti mostrato un’altra abilità altamente ricercata da una casa di maiko: la dimestichezza con fornelli e pietanze. Le viene così offerto il ruolo di cuoca ufficiale di Saku (chiamata makanai, e da qui il nome della serie), con la possibilità di rimanere a vivere con le nuove compagne ma, soprattutto, con Sumire, da cui è inseparabile. Kiyo accetta con entusiasmo. È l’inizio di due percorsi di crescita e di una serie di inquadrature appetitose, che indugiano sui colori e i rumori dei piatti preparati da Kiyo e che vi metteranno l’acquolina in bocca in men che non si dica. Nel romanzo di formazione di “The Makanai”, il cibo è il coprotagonista assoluto, sempre pronto a riunire le ragazze della casa, riequilibrare giornate storte, o dare loro l’occasione di ritrovare sé stesse. Speriamo presto in una nuova stagione. Per il momento, però, ci sono un paio di riflessioni ulteriori da estrudere.
La prima riguarda il tema stesso della serie, ovvero, l’ambientazione nel quartiere di Gion, e il sogno di Sumire di diventare una geiko modello. Desiderio che, se pronunciato da una giovanissima del contemporaneo, potrebbe risultare straniante. Così radicalmente tipica della cultura giapponese, la geisha non ha equivalenti nel mondo occidentale contemporaneo, e la sua figura cade spesso nei tranelli delle cattive semplificazioni, che potrebbero portare ad assegnare alla geisha moderna risvolti turpi che non le competono. Per convincersene, basta partire dal significato del nome: “artista”, “artigiana”. Tra danza, musica e canto, le geishe intrattengono, conservano e tramandano alcune delle arti giapponesi storiche (non è un caso che alcuni episodi vedano le protagoniste interagire con gli ambienti del teatro Noh e Kabuki, afferenti alla stessa area di tradizione) e accompagnano le serate di facoltosi clienti con spettacoli e conversazioni sofisticate. Di più: storicamente, diventare geisha era la strada più sicura per orfane o ragazze che provenivano da contesti famigliari instabili. Che il preconcetto non tragga in inganno, dunque: in “The Makanai”, sono le donne a guidare il gioco. E lo fanno a colpi di battute taglienti e di lezioni magistrali impartite agli uomini che le circondano. Merito della scrittura di Kore-eda e dei suoi co-autori, che creano contrappunti impeccabili tra mondo delle ragazze e degli adulti, tra il serio della professione e il faceto della chiacchiera da bar. Perché, tanto, è sempre attorno a un piatto cucinato da Kiyo, o a un drink al locale di fiducia della casa di Saku, che si andrà a chiudere l’episodio.
Ed è proprio Kiyo, in fondo, la vera protagonista della serie. Proprio attorno a lei, e alla sua inseparabile cucina, che si addensa la nostra seconda riflessione. Perché, di fatto, Kiyo esce da Saku solo per comprare, ogni mattina, gli ingredienti per la spesa della giornata. Rientrata, si dedica anima e corpo allo studio del menu e alla preparazione, lentamente, poi magari le chiedono il bis, poi subito a lavare tutto (tra l’altro, non si intravede nemmeno l’ombra di una lavatrice). Per chi sia avvezzo ai meandri di internet, o ai feed di TikTok, l’associazione con un’altra figura, una che si è fatta molto notare recentemente, potrebbe giungere spontanea: la stay-at-home girlfriend, ovvero il prodromo di una casalinga, compagna di un maschio facoltoso, spesso influencer, e interamente dedita alle faccende di casa e del (proprio) corpo, da tenere idratato e perfettamente nutrito. Tra i video che hanno fatto chiacchierare di più, quelli della lifestyle e fashion influencer Kendel Kay, in cui la venticinquenne descrive minuziosamente tutto quello che mette in fila durante la giornata per assolvere al suo “compito” di casalinga. Molti dei capitoli di questo diario social e digitale appartengono all’area food and drink (un paio di esempi qui e qui), e Kay ha ribadito in più di un video la necessità di imparare a cucinare meglio per «Far piacere al fidanzato». Il pacchetto pulizie-commissioni-casa sembrerebbe dunque comprendere anche il cibo, e la sua preparazione.
D’altronde, è inutile negarlo: la divisione dei compiti casalinghi/extra-casa tra donna e uomo tipica dei secoli scorsi derivava proprio dal fatto che la donna non lavorasse. La scena stereotipata, quella del marito che rientra la sera tardi e chiede alla moglie dove sia la sua cena. Proprio per questo, l’emancipazione femminile contemporanea passa anche attraverso questa rinegoziazione del rapporto tra il cibo e il femminile. Un assumersi volontariamente un ruolo, piuttosto che caricarselo sulle spalle. Alla fine, quello che dice ogni grande chef è che si fa da mangiare bene perché si dà valore al far mangiare bene qualcuno. Che è, credo, una delle massime dimostrazioni di filantropia (etimologicamente intesa) che l’uomo sappia produrre. Non potremo forse sapere se Kay e le fidanzate-casalinghe sono, o saranno, felici. Crediamo però che Kiyo, in “The Makanai”, lo sia. E speriamo davvero che il suo personaggio possa prendersi sempre più spazio in stagioni future, trasformando questo delizioso show nella parabola di formazione di una giovane chef. Pronta a cambiare le regole del gioco, mettendo al primo posto l’amore e la cura; come tante, nella realtà, stanno facendo.