Il Danubio è il fiume che ha contribuito a disegnare l’Europa: le sue acque hanno collegato città e diviso Paesi, mostrando come una barriera naturale possa cambiare la storia di un continente. Ora, un piccolo canale alla sua foce è diventato un caso tra Ucraina e Romania, scatenando i timori riguardo a una possibile ingerenza russa, che potrebbe inficiare il sostegno di Bucarest nei confronti del suo vicino aggredito. La controversia è scoppiata quando Kyjiv il mese scorso ha reso noto di aver dragato con un’operazione di scavo il canale Bystre, un corso d’acqua ucraino lungo circa dieci chilometri che collega il Mar Nero con il ramo Chilia del Danubio e segna un confine naturale con la Romania.
I lavori erano finalizzati ad aumentare la profondità di navigazione del Bystre da 3,9 metri a 6,5 metri: si tratta del «primo (intervento, ndr) dall’indipendenza» dall’Unione Sovietica nel 1989, ha dichiarato il ministero ucraino delle Infrastrutture, aggiungendo: «Continuiamo a sviluppare il cluster portuale del Danubio». La costruzione del canale è iniziata nel 2004: il progetto era destinato a fornire una rotta alternativa alle imbarcazioni, consentendo di accedere ai porti del Basso Danubio.
L’Ucraina però è diventata sempre più dipendente dalla rotta da quando, un anno fa, la Russia ha invaso e limitato l’accesso di Kyjiv ai suoi porti sul Mar Nero; da allora le esportazioni attraverso il Danubio hanno raggiunto 1,5 milioni di tonnellate e il dragaggio del canale potrebbe aggiungere altre cinquecentomila tonnellate. Considerando che l’accordo sul grano sostenuto dalle Nazioni Unite (con la riapertura di tre porti) ha rappresentato un’ancora di salvezza per l’economia ucraina devastata dalla guerra e ha incrementato le forniture alimentari globali, Kyjiv ora è determinata a garantire rotte commerciali percorribili che offrano una maggiore protezione dall’aggressione russa.
Tuttavia i lavori hanno allarmato la Romania: i funzionari di Bucarest hanno affermato che il dragaggio potrebbe minacciare il Delta del Danubio e la sua riserva naturale, nota per la biodiversità e l’abbondante avifauna. L’Ucraina però sostiene che l’operazione faccia parte di un precedente programma di corsie di solidarietà sponsorizzato dall’UE per facilitare gli scambi commerciali con il blocco. Il ministero degli Esteri rumeno ha quindi convocato l’ambasciatore ucraino chiedendo di fermare «tutti i lavori di dragaggio», nel caso andassero oltre la regolare manutenzione del corso d’acqua. Bucarest ha inoltre chiesto di effettuare le proprie misurazioni dell’area.
L’ambasciata ucraina nella capitale rumena ha subito cercato di chiarire che i lavori sono di «natura operativa» per rimuovere il limo che aveva ridotto la profondità del corso d’acqua. Ma l’argomento è subito diventato terreno fertile per lo scontro politico in Romania, un Paese che ha sostenuto fortemente l’Ucraina dopo l’invasione russa, anche ospitando migliaia di rifugiati. A inquinare il dibattito pubblico ci ha pensato un politico rumeno di estrema destra, George Simion, che ha recentemente postato un video da una barca su quello che diceva essere il canale di Bystre. Nel video, Simion ha criticato la scarsa attenzione della politica verso il Delta del Danubio.
Il presidente rumeno Klaus Iohannis ha però deplorato i «discorsi infiammatori», esortando i cittadini a lasciare che gli esperti stabiliscano «cosa sta realmente accadendo». «Non credo sia opportuno attaccare gli ucraini sulla base di dati incerti», ha dichiarato Iohannis durante un incontro con il presidente degli Stati Uniti Joe Biden e altri leader regionali a Varsavia il mese scorso. «(Gli ucraini, ndr) non hanno bisogno di essere rimproverati, hanno bisogno di sostegno».
Nei giorni scorsi, a Izmail, una città portuale ucraina sul Danubio a circa sessanta chilometri a ovest del canale di Bystre, si sono svolti colloqui mediati dalla Commissione europea. «Effettueremo misure comuni per chiarire ogni cosa ed evitare qualsiasi politicizzazione della questione», ha dichiarato Dmytro Barinov, vice capo dell’Autorità portuale ucraina, dopo i colloqui. «Vogliamo accelerare il processo il più possibile».
Tuttavia, l’Ucraina ha negato che siano in corso o in programma grandi lavori sul braccio della Chilia o sul canale di Bystre; inoltre, ha ribadito che «rispetterà e aderirà rigorosamente a tutti gli accordi e le convenzioni internazionali in materia», si legge in un comunicato stampa diffuso dalla Rappresentanza della Commissione europea in Romania.
Di fronte al possibile deterioramento dei rapporti, l’ambasciata ucraina ha fatto appello ai rumeni affinché «non stiano al gioco della propaganda russa» che potrebbe minare il loro sostegno a Kyjiv nel conflitto. Con i legami bilaterali in gioco, la questione potrebbe essere terreno fertile per le fake news alimentate dalla macchina propagandistica del Cremlino.
Tuttavia, bisogna sottolineare che la società rumena non è mai stata vulnerabile alla propaganda russa finora. Le ragioni sono molteplici: i deboli legami culturali ed economici con la Russia, la barriera linguistica e un atteggiamento tradizionalmente negativo nei confronti di Mosca, che i rumeni considerano come la principale minaccia alla sicurezza nazionale. Elementi incoraggianti per Kyjiv.
Secondo uno studio condotto dall’INSCOP nel maggio 2022, il 71,2 per cento dei rumeni ritiene che la Russia sia responsabile della guerra in Ucraina. L’87,3 per cento dei cittadini osserva che i leader politici russi debbano essere riconosciuti colpevoli dei crimini di guerra commessi dalle forze armate russe in Ucraina, mentre il rafforzamento del fianco orientale della Nato attraverso il trasferimento di ulteriori armi alla Romania è sostenuto dal 65 per cento dei rumeni.
Già prima dell’inizio dell’invasione su larga scala dell’Ucraina, nel bel mezzo della pandemia, il governo rumeno ha iniziato a combattere la diffusione di fake news e disinformazione, approvando una serie di decreti che hanno consentito alle autorità di emettere ordini di rimozione di articoli e siti web accusati di diffondere «false informazioni» sulla pandemia. Le ragioni di questa decisione sono state la scarsa alfabetizzazione mediatica della popolazione e la poca professionalità dei mass media locali. Inoltre, dopo il 24 febbraio Russia Today e Sputnik sono stati bloccati nel Paese, lasciando il Cremlino senza le sue due principali risorse mediatiche. La strategia russa in Romania, quindi, si riduce alla diffusione di narrazioni volte a minare la fiducia nella democrazia rumena e nei partner euro-atlantici di Bucarest.