Le cose da ricchi sono diventate da poveri. È successo da molto tempo, e va peggiorando, ma è un tema del quale ha più senso parlare di quanto ne abbia intrattenersi sullo scandale du jour, che se permettete riassumo assai brevemente perché tanto ce ne siamo già dimenticati.
Una tizia che ho dovuto cercare su Google ha perso un aereo. Cioè: com’è capitato a quasi chiunque, è arrivata all’imbarco e le hanno detto che era chiuso. Come chiunque in un caso del genere, ha pensato «ma se vedo l’aereo ancora lì perché non mi fate salire».
Solo che ci sono vari livelli di chiunquitudine. Quello di chi ride di sé e della sua scemenza (come non sapessi che procedura lunga è la chiusura dell’imbarco dell’aereo, mi vergogno di me e di averlo pensato). Quello di chi la prende in dramma ma nessuno gli dà retta perché sui social lo seguono solo i cognati e i compagni di padel. E quello della tizia dello scandale.
La tizia è stata, mi dice Google, una corteggiatrice scartata a Uomini e donne. Poiché l’unica forma di stato sociale che questo secolo sia riuscito a inventarsi è la celebrità un po’ per tutti, anche per una corteggiatrice scartata in un programma di accoppiamenti, quando la ragazza fa dei video sostenendo di avere attacchi di panico e chiedendo la testa della hostess che l’ha respinta, i giornali ritengono di occuparsene.
Poiché le cose da istruiti – i giornali – sono diventate da analfabeti, i giornali la prendono dal lato più elementare della questione: la prepotenza dei famosi, i poveri lavoratori vessati, i tempi corretti per l’imbarco. Nessuno la prende dal lato «ma una ventiduenne di Anzio cosa volete che sappia viaggiare, quando esistevano le classi sociali avrebbe preso al massimo un treno locale». Nessuno, neanch’io, che vorrei invece provare a prenderla dall’estero.
Il New York Times ha una rubrica di viaggi, Tripped up, che venerdì ha pubblicato la lettera d’un lettore del Michigan che lamentava il disservizio d’una linea aerea che aveva lasciato lui e i figli in Guatemala. Era successo che l’aereo era in ritardo, loro erano andati a mangiare, e quando erano tornati avevano scoperto che l’aereo non era più in ritardo ed era partito senza di loro. Il lettore, che probabilmente non ha mai fatto il concorrente a The Bachelorette e quindi nessuno se lo filerebbe se protestasse su Instagram, aveva scritto indignato: rivoleva i tremila dollari che aveva dovuto spendere per un altro volo per lui e per i figli.
Il rubrichista del New York Times, zelante come lo sono nei giornali in paesi in cui per le ingiustizie ci si rivolge ai giornali e non a Instagram o al Gabibbo, aveva contattato la linea aerea, chiesto in giro, e insomma era costretto a dargli torto: caro lei, anche se il volo è in ritardo, bisogna sempre restare vicini all’imbarco altrimenti si rischia di perdere l’aereo.
Leggevo e pensavo che vent’anni fa questa lettera non sarebbe esistita. Perché vent’anni fa prendere aerei era ancora un’attività selettiva. E quella parte di pubblico che lo faceva aveva abbastanza uso di mondo da, mentr’era al bar, controllare su uno dei molti monitor se il suo aereo stesse imbarcando. Adesso viaggiare è una cosa che fanno tutti, il che sarà pure un bene (se credete alla fandonia che viaggiare apra la mente), ma di sicuro ha abbassato il livello.
Il livello dei passeggeri, che più non sanno viaggiare più si sentono dalla parte della ragione. Anni fa una coppia di amici che non viaggia mai andò a prendere un aereo per la Grecia con boccioni da un litro di creme solari nel bagaglio a mano. Ci mancò poco che li arrestassero, perché, quando ai controlli glieli buttarono via, il marito quasi venne alle mani col tizio che controllava le valigie. Fu molto difficile restare amici, giacché le regole dell’amicizia prevedono che di fronte ad aneddoto spiacevole tu dica «avete ragione, sono tutti stronzi», e io non riuscivo a non dire ma come fate a essere così stolidi, sono anni che non si può viaggiare coi liquidi in borsa.
Ma anche il livello degli aeroporti e delle compagnie aeree, e non parlo di quelle a basso costo. Anche se paghi una prima classe, poi devi passare da controlli fatti da dementi lenti come impiegati ministeriali; e quasi sempre insensati, come ben riassunto da Louis CK, che nel suo più recente monologo racconta di quando gli hanno sequestrato la plastilina con cui gioca per poi mandarlo serenamente a imbarcarsi: o avevo in borsa dell’esplosivo, e allora devi interrogarmi molto a lungo, o quello non era esplosivo e allora ridammelo.
Anche se paghi una prima classe, poi rischi che il tuo aereo venga imbarcato dal bus, e di dover quindi aspettare che si imbarchi chiunque sia seduto al 32 C ma ti preceda sulla scaletta.
Anche se paghi una prima classe, poi magari nella sala d’attesa di prima classe non c’è da sedersi, perché la prima classe ormai potete permettervela tu e tutti i cani e tutti i porci, e la lounge di prima classe nel 2023 somiglia ai treni per il meridione in agosto nel 1982. (Vale anche per i treni: qualche anno fa la Executive del Frecciarossa era sempre vuota, ora c’è non solo sempre gente, ma persino gente coi bambini e gente coi cani, due categorie che renderebbero di terza classe anche l’Orient-Express).
Quindi qual è la soluzione? L’aereo privato, il cui noleggio peraltro costa quel che un posto di prima classe su un volo di linea costava vent’anni fa. Quindi, non è più da ricchi neanche quello. (Per essere ricchi gli aerei privati – più d’uno – devono essere di proprietà: in “Succession”, il cugino Greg viene mandato sull’aereo privato minore, essendo il più povero dei ricchi).
Viaggiare su un aereo privato non di proprietà non è da ricchi; però, tra le cose divenute da poveri, è quella che rende il viaggio un’esperienza meno infernale. Oltretutto, essendo i voli privati ormai considerati il male supremo dalla militanza ecologista, su un aereo non di linea non hai neanche la tentazione d’instagrammarti. Puoi evitare di mostrarti come fanno i veri ricchi, pur essendo a noleggio come un finto ricco. Oppure, se non resisti, puoi essere anche tu lo scandale du jour; ma vuoi mettere esserlo perché hai inquinato stando comodo, e non perché piangi chiedendo la testa d’una hostess che non ti ha fatto sedere al 32 C?