Altro che bamboccioniLa mostra collettiva dedicata ai giovani progettisti italiani

“Italy: A New Collective Landscape”, all’ADI Design Museum di Milano dal 4 aprile al 10 settembre, sfata i miti imposti dalle generazioni sulla via del tramonto: gli under 35 hanno in mano le chiavi per affrontare (brillantemente) questo periodo di grandi transizioni

Courtesy of ADI Design Museum

Fatto salvo per avventurose dichiarazioni alla Francesco Lollobrigida, i “giovani” (Millennial, Generazioni Z e Alpha) sono divenuti di recente oggetto di saggi, film e tavole rotonde non esattamente rilassate. In particolare, l’Italia non è un Paese che lascia loro spazio, esibendo così una silenziosa quanto pericolosa sfiducia verso il futuro. 

Se in Europa l’età media dei manager è di quarantacinque anni, in Italia supera i cinquanta. L’età media dei parlamentari da noi è di 51,5 anni e quella dei professori ordinari di cinquantanove: siamo i primatisti europei di anzianità, nel mondo in gara solo con il Giappone.

In questo panorama, il sistema design – un tempo fiore all’occhiello del Made in Italy – non fa eccezione. È lodevole, dunque, lo sforzo espositivo in corso all’ADI Design Museum di Milano con la mostra Italy: A New Collective Landscape che, già dal titolo in lingua straniera, si presenta eretica rispetto al sentimento espresso dalla nuova onda meloniana. 

L’esibizione offre una panoramica che include cento giovani progettisti italiani capaci di  proporre pratiche utili ad affrontare la transizione sociale, ecologica e politica in corso. Le conseguenze di un’economia esclusivamente basata sull’accumulo e il consumo dovrebbero essere (lo sono davvero?) ormai dolorosamente chiare a tutti, così come la certezza che il tempo per porvi rimedio sia sempre più ridotto. 

Courtesy of ADI Design Museum

La consapevolezza di tutto ciò si dispiega in questa mostra già dal percorso espositivo proposto al visitatore, suddiviso in tre sezioni. La prima, dedicata al design sistemico, propone progetti che appartengono alla sfera domestica ed esplodono in una varietà di formati e applicazioni che riflettono su modelli di sviluppo inclusivi e sostenibili. Il tema chiave è l’approvvigionamento e l’impiego delle risorse. 

La seconda – non a caso disposta al centro del percorso –  è dedicata al design relazionale inteso come una pratica sociale. Qui i contributi propongono strumenti per favorire comunità e interdipendenza, introducendo concetti come uguaglianza, collaborazione e coesistenza intese come pratiche collettive e partecipative. In questa sezione, i curatori hanno pensato a spazi di interazione e intrattenimento (Play, Read, Watch) dove è previsto il coinvolgimento attivo del pubblico. 

Al design rigenerativo è infine dedicata la riflessione sui processi produttivi, che possono avere un impatto positivo e rigenerativo sull’ambiente. I progetti raccolti spaziano dal design contestuale – sottolineando l’impegno di molti designer verso la comprensione dell’ambiente, l’attivismo e l’eventuale risposta costruttiva a eventi catastrofici – a una biblioteca di nuovi materiali e bio-materiali come modelli alternativi allo sviluppo, dove il design performa come pratica atta a facilitare la transizione ecologica. 

Courtesy of ADI Design Museum

Italy: A New Collective Landscape fa chiarezza innanzitutto su un punto: la figura del designer come battitore libero – tipica dell’ultima metà dello scorso secolo – è archiviata. Il designer, attualmente, si muove in un orizzonte sistemico riferito prima di ogni altra cosa alla conservazione della vita del pianeta e di chi lo abita.

Questa nuova prospettiva apre a nuove responsabilità e conseguenti opportunità di questa pratica. Le università e le accademie italiane sfornano giovani professionisti con un ritmo in crescita: i dati qualitativi raggiunti dai nostri atenei nelle classifiche mondiali sono di rilievo, e i giovani designer preparati dalle scuole italiane vengono valorizzati e assumono ruoli rilevanti ovunque, tranne che in Italia. L’inserimento lavorativo resta per loro assurdamente faticoso. 

Luciano Galimberti, che di Adi è il presidente, resta però ottimista. O, forse, sarebbe meglio dire determinato: «Le difficoltà favoriscono la generazione di gruppi, il successo in genere ne favorisce la dissoluzione. Forse Italy: A new collective landscape dimostrerà il contrario, e come la soluzione di problemi sempre più complessi richieda un nuovo atteggiamento, che i giovani designer stanno esplorando non senza fatica ma con grande coraggio», ha detto. Non resta che accoglierne l’augurio: resistere e sperare.

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