Fort ApacheMarianna Madia dice che i riformisti non devono uscire dal Pd ma combattere da dentro

«Chi non ha sostenuto Schlein al congresso deve sentire la responsabilità di trovare uno spazio nel partito dove affermare le proprie idee», spiega l’ex ministra. Ma bisogna cambiare registro: «A che serve continuare a dividersi su Jobs Act sì o Jobs Act no? Quella riforma ha avuto punti di forza e di debolezza, ma risale a quando ero incinta: ora mia figlia ha nove anni, nel frattempo è cambiato tutto. Proviamo a far evolvere le nostre riflessioni, tutti insieme»

La soluzione, per chi si sente riformista, non è uscire dal Partito democratico, ma «cercare di far sentire la propria voce dentro alla comunità democratica». L’ex ministra Marianna Madia, deputata, lo dice alla Stampa il giorno dopo l’addio di Enrico Borghi e l’annuncio del passaggio a Italia Viva.

Madia fa parte della minoranza Dem, alle primarie ha sostenuto Stefano Bonaccini e rivendica «le ragioni politiche per le quali non ho votato Schlein». Ma fatica a comprendere le ragioni dell’addio di Borghi: «Non me l’aspettavo, la sua decisione mi ha sorpreso molto e mi dispiace. È un amico e una persona che stimo, spero che nel Pd ci sia la volontà di indagare profondamente le sue motivazioni, senza cavarsela con una scrollata di spalle».

Ma, dice Madia, «io continuo a pensare che le ragioni del riformismo debbano stare dentro al Pd e che questa sia la sfida che noi abbiamo davanti. Trovo sbagliato lamentarsi senza fare nulla, abbiamo la responsabilità di portare avanti e animare discussioni costruttive».

L’ex ministra invita ad andare oltre le divisioni per categorie: «Ad esempio, a che serve continuare a dividersi su Jobs Act sì o Jobs Act no? Quella riforma ha avuto punti di forza e di debolezza, ma risale a quando ero incinta: ora mia figlia ha nove anni, nel frattempo è cambiato tutto. Proviamo a far evolvere le nostre riflessioni, tutti insieme».

Uno spazio per voi riformisti nel Pd Marianna Madia lo vede: «Io credo che la segretaria sia consapevole che il Pd nasca come grande partito plurale e non vada snaturato. Le primarie si sono svolte a fine febbraio, la segreteria si è riunita una sola volta, eviterei allarmismi ingiustificati e non farei processi alle intenzioni». Poi, aggiunge, «dipende anche da noi».  E «il fatto di essere minoranza nel partito non vuol dire stare in un angolo a braccia incrociate. Dobbiamo avanzare le nostre proposte e spero ci sia la disponibilità a dialogare, non ho motivo di temere un atteggiamento ostile. In quest’ottica, oggi con la collega Quartapelle presentiamo i “Seminari del futuro”: un’occasione per discutere di temi fondamentali, dalla sanità ai salari, ma distanti dall’agenda del governo. È il nostro contributo per arricchire l’opposizione alla destra di Giorgia Meloni».

E ribadisce: «Chi non ha sostenuto Schlein al congresso deve sentire la responsabilità di trovare uno spazio nel partito dove affermare le proprie idee. La scelta di Borghi deve servire da monito, per farci fare un passo in avanti».

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