Conclusa la battaglia sul 25 aprile, il Partito democratico apre le ostilità in vista del Primo maggio, dunque sulla questione del lavoro. Un nuovo fronte che si preannuncia molto aspro con un governo improvvisamente in difficoltà dopo il ko a Montecitorio sullo scostamento di bilancio e in procinto di varare un decreto lavoro che già fa venire l’orticaria alle opposizioni parlamentari e ai sindacati: per questo sarà un Primo maggio duro, conflittuale.
Difficile stabilire chi abbia vinto lo scontro dialettico sull’antifascismo, ma certo il governo ha riportato diversi lividi, convinto però di essersi salvato in corner con la lettera di Giorgia Meloni al Corriere della Sera dopo gli autogol di Francesco Lollobrigida e Ignazio La Russa. E adesso il partito di Elly Schlein, proprio nella giornata più pop da quando è segretaria (l’intervista a Vogue sarà un tormentone per mesi), alza le barricate contro il decreto lavoro che il Consiglio dei ministri approverà il Primo maggio con una trovata d’immagine così così, per dare il senso che le luci a Palazzo Chigi sono sempre accese come quelle di palazzo Venezia ai tempi.
Comunque sia, ieri il Pd, pur nella sfortuna di polemizzare con il governo che non avrebbe convocato i sindacati proprio mentre questi venivano convocati per domenica (appunto, le luci sono sempre accese), ha promesso battaglia perché al Nazareno hanno capito che o il partito rilancia la sua identità sulle questioni sociali o il rischio è quello di restare impantanati nei dibattiti delle idee, dalla guerra all’antifascismo, che saranno anche questioni dirimenti per il proprio profilo ma che da sole non sono certo sufficienti a parlare a quegli strati sociali e a quelle generazioni che da tempo non votano più a sinistra.
È probabile che, soprattutto dopo l’affare della armocromia e dintorni, Elly Schlein abbia necessità di rimettersi l’eskimo addosso. D’altronde la segretaria era subito partita in quarta sul salario minimo ma non si è capito bene perché non sia andata avanti su questo punto sul quale peraltro si stava determinando una possibile convergenza con il Terzo Polo e – udite udite – con Giuseppe Conte, l’Inabissato di questa fase politica.
Meloni smantella il reddito di cittadinanza, misura mai digerita dal Pd, ma per mesi non ha detto con cosa sostituirlo, fino appunto al decreto che verrà varato il Primo maggio prevedendo la cervellotica introduzione di nuovi strumenti: Pal, la Prestazione di accompagnamento al lavoro che entrerà in vigore in via transitoria da agosto; Gil, la Garanzia d’inclusione per chi non è occupabile e Gal, la Garanzia per l’attivazione lavorativa che riguarderà invece chi è in condizione di lavorare. Il rischio è la confusione massima, anche perché il punto vero, quello del funzionamento dei Centri per l’impiego, resta una incompiuta.
Il tema più scottante riguarda la questione dei contratti a termine. Secondo il Pd le nuove norme, con alleggerimento della famose causali, si avrà maggiore precarietà, «garantendo ai datori di lavoro – ha commentato la neoresponsabile lavoro Cecilia Guerra – maggiore flessibilità/discrezionalità possibile nell’impiego dei lavoratori soprattutto per quel che riguarda la gestione del loro tempo, una visione incline a trasformare la flessibilità in precarietà come già si è visto nella legge di bilancio con l’allargamento dell’uso dei voucher».
Bocciato infine anche il mini-intervento sul cuneo fiscale, pochi spiccioli al mese in busta paga. Con questo bagaglio polemico i militanti del Pd saranno presenti alle manifestazioni sindacali del Primo maggio. Cgil Cisl e Uil ritroveranno una compattezza sostanziale proprio a partire dalle misure del governo sul lavoro. Martedì avremo la piazza contro il governo, come ai bei tempi. Ed Elly Schlein non vuole stare a guardare.