Con l’intervista di Elly Schlein a Vogue Italia e quella di Marco Meloni a Repubblica il grande rinnovamento del Partito democratico si è presentato finalmente con il suo vero volto, i suoi valori autentici e anche con i giusti colori abbinati. Tra i due interventi c’è una perfetta simmetria, politica ed estetica. Direi persino, rubando le parole alla segretaria del Pd, una sorta di armocromia.
Il coordinatore della segreteria di Enrico Letta, infatti, ha finalmente chiarito come la nuova leader sia in perfetta continuità con la linea del suo predecessore (il quale a sua volta, aggiungo io, era in perfetta continuità con il segretario precedente, Nicola Zingaretti), per lo stupore dell’intervistatrice, Giovanna Vitale, che infatti replica: «Non è un po’ lunare sostenere che Schlein sta proseguendo la linea Letta? Non è stata lei stessa a porsi in forte discontinuità con il passato?». Il bello è che hanno perfettamente ragione entrambi: è lunare, ma è anche la verità (ufficialmente, per la precisione, Letta non appoggiava nessun candidato, Meloni stava con Stefano Bonaccini e Francesco Boccia, altro importante esponente della segreteria Letta, guidava il comitato Schlein, schema che nel totocalcio si definirebbe una classica tripla: 1 X 2).
Va detto che Meloni sottolineava la continuità di Schlein con Letta per meglio stigmatizzare la scelta del deputato Enrico Borghi, che ha appena abbandonato il Pd per passare con Italia Viva. Quel che gli premeva dire era che «lasciare il partito nel quale si è stati eletti per traslocare in una micro-forza personale è una mancanza di rispetto per chi lo ha votato». Il che, per inciso, non sembra così diverso da quello che ha fatto Schlein nel 2015, quando da parlamentare europea ha lasciato il Pd per Possibile di Pippo Civati, e si potrebbe discutere anche di quanto differisca dal comportamento degli scissionisti di Articolo Uno nel 2017, l’una e gli altri riaccolti proprio da Letta con tutti gli onori, giusto in tempo per permettere a Schlein di candidarsi alla segreteria; peraltro dopo averla candidata ed eletta alla Camera, facendone la principale portabandiera del Pd in campagna elettorale (salvo vederla scomparire dai radar un minuto dopo il catastrofico risultato, per poi riapparire al momento di presentarsi alle primarie, secondo uno schema di gioco che le è consueto, ma che temo non sia facilmente conciliabile, nemmeno dal punto di vista etimologico, con la posizione di leader).
Osservazioni di questo genere appartengono però a una vecchia concezione della politica, me ne rendo conto, e a un’ancor più antiquata concezione della logica, con i suoi noiosi nessi di causa-effetto e il suo arido principio di non contraddizione (un culto praticamente in via di estinzione). È tempo dunque di smetterla con i dettagli e venire al cuore della novità.
Nello stesso giorno, il 25 aprile, mentre da un lato sfila in piazza per la festa della Liberazione, dall’altro Schlein concede un’intervista a Vogue Italia in cui spiega: «In generale dico sì ai colori e ai consigli di un’armocromista, Enrica Chicchio». Personal shopper prontamente intervistata, a sua volta, da Repubblica, che subito ci illumina sull’essenza della rivoluzione armocromunista: «È una pratica nata per le dive di Hollywood, ai tempi del Technicolor. In Italia ha preso piede da dieci anni, anche se solo negli ultimi due si è alzata davvero l’onda. E io ora la cavalco». Quindi, con professionale discrezione, precisa: «In genere chiedo 140 euro all’ora, più Iva, per il lavoro sui colori. Sullo shopping, saliamo a 300 euro l’ora. Per il guardaroba dipende. Con Elly ho un forfait, ma ovviamente non posso parlare di cifre esatte». E infine, implacabile, aggiunge: «Elly non ha un look da centro sociale. Abbiamo sostituito l’eskimo con un trench di taglio sartoriale. Ma sarebbe controproducente snaturarla nel look rispetto a quello a cui siamo abituati».
Il trench di taglio sartoriale è presumibilmente lo stesso sfoggiato dalla segretaria del Pd alla manifestazione di Milano, con il fazzoletto partigiano al collo (sul taglio del fazzoletto non si hanno notizie, e non mi intendo abbastanza di moda per valutare a occhio se si tratti di un foulard di Chanel o di un vile reperto da bancarella dell’usato). Del resto la stessa Chicchio, commentando su Instagram le foto di Vogue, si dice «orgogliosa di lavorare con @ellyesse e scegliere con lei le giuste cromie, dietro le quali si veicolano messaggi importanti».
Resta da valutare come sarà possibile conciliare le foto posate per una rivista di moda il 25 aprile e le dichiarazioni sui rischi per la democrazia italiana, un vertice del partito infarcito di giovani e meno giovani esponenti della sinistra eco-gruppettara (ai quali le foto posate per una rivista di moda appariranno verosimilmente molto più compromettenti di qualunque scatto rubato) e una leader che, dopo essersi presentata come una via di mezzo tra Rosa Parks e Rosa Luxemburg, sembra fare di tutto per corrispondere al cliché della sinistra radical chic, ricca e lontana dal mondo reale, quale vorrebbe dipingerla la destra. Certo è che, sommando le due cose, radicalismo gruppettaro e armocromia al potere, la “Nouvelle Vogue” del Pd non promette straordinarie capacità espansive.