«Oggi, a causa dell’inquinamento luminoso, non ci sono quasi più luoghi remoti disponibili sulla Terra che abbiano le caratteristiche per installare un osservatorio astronomico». A scriverlo sono stati gli astronomi Fabio Falchi, Salvador Bará, Pierantonio Cinzano, Raul C. Lima & Martin Pawley in un articolo pubblicato nel marzo scorso sulla rivista Nature Astronomy.
I colpevoli, secondo gli scienziati, sono le “mega costellazioni” di satelliti, diventate una minaccia globale senza precedenti per la natura in quanto viaggiano nell’orbita terrestre bassa – tra i trecento e i mille chilometri di altezza – e stravolgono il cielo notturno impedendo non solo agli astronomi di lavorare, ma togliendo anche a tutti noi la vista delle stelle. Questi hanno un impatto molto più profondo di fari, lampioni e altre fonti luminose.
«L’illuminazione diretta da parte della luce solare di satelliti funzionanti, satelliti guasti, resti di hardware di lancio e frammenti di detriti li rende visibili come strisce o scie nelle immagini astronomiche ottiche e all’infrarosso, che possono compromettere i dati scientifici», affermano gli scienziati evidenziando come, in prospettiva, il problema principale siano i detriti spaziali.
Alla sbarra i satelliti di Musk: gli Starlink girano in un’orbita già congestionata e dunque i futuri lanci programmati avranno come effetto quello di aumentare esponenzialmente il rischio di collisioni. Già a metà dell’anno scorso i frammenti più grandi di dieci centimetri erano ben oltre trentaseimila. Quelli più piccoli, probabilmente, circa un milione.
Quest’ultima pubblicazione non è certo il primo allarme che viene lanciato dalla comunità scientifica. La questione è stata avviata mezzo secolo fa con uno studio, pubblicato su Science, in cui si puntava il dito «sui grandi cambiamenti qualitativi e quantitativi nella tecnologia di illuminazione». Questi, si legge nel paper, «stavano causando un aumento della luminosità notturna di circa il venti per cento ogni anno, con conseguenze su alcuni programmi astronomici».
Dal 1973 a oggi si sono susseguiti molti altri allarmi. Tra gli esempi più recenti contiamo l’estremamente dettagliato, per questo impietoso, atlante mondiale dell’inquinamento luminoso, pubblicato nel 2016 da un gruppo di scienziati che ha voluto mostrare la mappa di un fenomeno in rapida crescita arrivato in breve tempo a interessare ben l’ottanta per cento della popolazione mondiale.
E ancora: il rapporto di giugno scorso pubblicato dall’Agenzia spaziale europea (Esa) dal quale emerge un problema paradossale: le luci led, cha rappresentano un’innovazione rivoluzionaria perché hanno consentito di ridurre il consumo di energia, hanno contribuito ad incrementare l’inquinamento luminoso. Più economica ed efficiente è l’illuminazione, più diventiamo dipendenti dalla luce.
Su Nature Astronomy gli esperti chiedono a gran voce un new deal, e soprattutto esortano tutti noi e ciascuno di noi a contribuire. Il tema centrale consiste nell’arrivare a indurre nella società civile la consapevolezza che quello luminoso è una delle forme di inquinamento più sottovalutate dalla politica e dalle amministrazioni, nonostante abbia delle conseguenze profonde sugli ecosistemi e sulla nostra salute.
L’inquinamento luminoso altera il ciclo circadiano, il sistema biologico che guida i ritmi dell’organismo, e questo mette a repentaglio la sopravvivenza delle specie. E non è tutto: nuove ricerche relative all’uomo attribuiscono a questo fenomeno un ruolo nella diagnosi di patologie quali il cancro, la depressione e l’obesità.