Qui, là, ovunqueIl Terzo polo, la tattica fine a sé stessa e il mito dell’elettore razionale

Accelerazioni e rallentamenti nella nascita del fronte anti populista, ma con molti dubbi che così si possa davvero costruire un’alternativa

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Il Terzo polo, nome orrendo ma che la scorsa estate è stato molto utile per segnalare una direzione a chi non voleva stare né di qua né di là, è nato per necessità e di risulta dopo che i due leader Carlo Calenda e Matteo Renzi non erano riusciti a convincere Enrico Letta a evitare di schiantarsi contro il muro. 

L’otto per cento delle elezioni politiche è stato un buon risultato, sebbene non entusiasmante, ma era difficile aspettarsi di più dall’unione forzosa di due leader che si erano guardati in cagnesco fino al momento precedente la consegna delle liste.

Successivamente, i due gruppi dirigenti di Azione e di Italia Viva hanno cominciato a lavorare proficuamente insieme, costituendosi in gruppo comune in Parlamento e proponendo iniziative legislative di pregio, le uniche serie in mezzo ai due populismi. 

Calenda è più impulsivo e giustamente ha provato ad accelerare la nascita del partito unitario, che i leader del Terzo Polo continuano a chiamare “unico”, inconsapevoli di quanto suoni male l’aggettivo “unico” accanto a “partito”, specialmente in Italia. Renzi invece è più tattico e ha cominciato a guardarsi attorno e a rallentare. 

A una mia domanda durante un dibattito pubblico alle Stelline di Milano, Calenda ha spiegato che alla fine si è fatto convincere dalla prudenza di Renzi, riconoscendo la superiore capacità politica dell’ex premier, con la motivazione che sarebbe stato necessario prendersi più tempo per allargare il più possibile il confine dei soggetti e delle associazioni da coinvolgere nella costruzione del nuovo partito.

Poi ci sono state le elezioni regionali in Lombardia, dove la “furbata Moratti” non ha funzionato per niente, anzi ha fatto scappare i potenziali elettori di sinistra e non ha attratto quelli di destra (Moratti probabilmente è una brava manager, come ha dimostrato sull’Expo e sul vaccino anti Covid, ma è un disastro senza precedenti nel condurre una campagna elettorale, come si è visto contro Giuliano Pisapia e alle regionali). 

Il risultato (poco meno del 10 per cento diviso tra Lista Moratti e Terzo Polo) ha ulteriormente convinto Renzi a non affrettare le mosse e a rimandare la nascita del nuovo partito a dopo le elezioni europee del 2024, cosa che ha messo in seria difficoltà la componente di Italia Viva impegnata dentro la federazione con Azione che invece lavorava con un passo decisamente più spedito verso l’obiettivo. 

Senonché Elly Schlein ha vinto a sorpresa le primarie del Pd, umiliando gli ormai non più umiliabili riformisti del Pd e quindi riaccendendo la luce su un percorso apparentemente meno accidentato per una formazione politica estranea al bipopulismo. Renzi si è intestato l’improvvisa accelerazione e i due partiti, Azione e Italia Viva, hanno rimesso la quarta verso la nascita del nuovo partito, insomma sono tornati sulla linea Calenda. 

La road map suggerita da Calenda – simbolo, nome e manifesto subito, poi allargamento ad altri soggetti, fusione e chiusura di fatto dei due partiti originari – non è mai stata formalmente accettata in tutti i punti dai renziani, i quali non sembrano disposti a rinunciare al soggetto giuridico Italia Viva. 

Così i due, Calenda e Renzi, hanno ricominciato a guardarsi con sospetto, i gruppi dirigenti locali non si sono mai amalgamati, le elezioni in Friuli sono andate malissimo nonostante l’ottimo candidato Alessandro Maran e le componenti politiche della federazione non si sono allargate, se non a qualche minuscolo gruppetto liberale altrettanto litigioso. 

I buoni sondaggi per la Schlein in luna di miele con i suoi elettori, la calma piatta tra i riformisti del Pd e il ricovero di Silvio Berlusconi hanno rallentato ancora una volta il processo unitario e c’è chi ha cominciato a scrivere che il Terzo Polo sia già stato messo in soffitta (da Renzi) in vista di un’acrobatica guida renziana del fronte moderato della destra post berlusconiana. 

Altri, come Mario Lavia su Linkiesta, hanno invitato semmai a guardare a sinistra, non a destra, insomma a costruire l’area moderata del fronte progressista, ora che il Pd è stato colonizzato dai neo, ex, post comunisti. 

La cosa bizzarra è che la direzione editoriale di Renzi del Riformista è stata interpretata sia come il tentativo renziano di spostarsi a destra sia, a partire dal nome della testata, come una scelta di posizionamento riformista nel campo progressista. 

Insomma, un gran caos caratterizzato dalla consapevolezza di Renzi di essere più svelto e più sveglio degli altri protagonisti del panorama politico, ma anche alimentato da questi eccessivi tatticismi che in genere funzionano quando si può contare su un gruppo parlamentare consistente, e non risultano altrettanto efficaci quando c’è da costruire un’alternativa politica da zero (o dall’otto per cento). 

La terza via tra i populismi di destra e di sinistra per ora sembra volerla intraprendere davvero soltanto Calenda, e anche questo giornale, ma di questo passo non sarà mai una strada percorribile, e tanto meno maggioritaria, se continuerà a essere il percorso esclusivo di una semplice addizione tra due partiti reciprocamente sospettosi e se l’unico tratto distintivo resta il mantra «noi siamo seri, gli altri sono cialtroni».

Per quanto vero e condivisibile, questo confidare nella saggezza del cittadino medio è un errore politico madornale e dimostra che – nonostante la Brexit e Trump, ma anche la reazione all’aggressione russa dell’Ucraina – non si sono ancora capiti i perversi meccanismi del consenso nella società contemporanea. 

Lo abbiamo scritto più volte su Linkiesta, il mito dell’elettore razionale conduce a delusioni gigantesche. Serve, allora, scendere a patti col pensiero unico populista? No, ma bisogna essere consapevoli che un’alternativa seria al bipopulismo non può arrivare in cinque minuti né grazie a piroette tattiche.

Ci vuole pazienza, ed è necessario avere un’identità forte e far sognare gli elettori con una visione strategica di lunga gittata. Altrimenti, meglio scegliere una parte, a sinistra o a destra, e provare a costruire il pilastro meno pericolante, e meno pericoloso, di uno dei due orrendi schieramenti attuali.

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