Artista, artigiana, designer, Vanessa Barragão, poco più che trentenne, è tutto questo e molto di più. Nata il 14 maggio 1992 in Portogallo, dopo gli studi in Design e Moda apre il suo laboratorio in cui unisce tecniche artigianali antiche – uncinetto, macramè, feltro – a materiali “moderni”. L’artista, infatti, realizza tappeti scultura dando nuova vita a rifiuti e scarti di produzione.
Nel suo lavoro è sempre così evidente lo sforzo a preservare la tradizione del suo Paese, attualizzandola con i temi della sostenibilità e della natura. Amata dai collezionisti di tutto il mondo, continuiamo la nostra indagine sul solco tra arte, design e artigianalità con una lunga intervista alla scoperta di chi è veramente Vanessa Barragão.
Da sempre cammini sul filo del rasoio tra arte e design: hai studiato moda e realizzi opere d’arte a partire dalla tecnica dei tappeti. Come ti senti e come definisci le tue opere?
I miei lavori sono sicuramente un mix di tutto ciò che sono io. Non posso classificarli come una cosa o l’altra: sono tutto. Io guardo i miei lavori come arte. Poi tecnicamente sono oggetti, ma non di consumo o con una funzione di utilizzo chiara. Del resto, sono cresciuta in una famiglia dove il saper fare era la quotidianità: mio nonno e mio padre lavoravano il legno, le mie nonne lavoravano la maglia e facevano uncinetto, mia mamma si dedicava alla pittura e al restauro di vecchi mobili.
Tutto questo patrimonio culturale è in me: è evidente ed è il fondamento stesso di tutto il mio lavoro. Per me quindi l’arte comprende e parte dall’artigianalità, da ciò che è fatto a mano: il mio lavoro oltre a raccontare qualcosa di nuovo, ha un rapporto rispettoso con il passato. Non ti nascondo che nel mio fare c’è sempre un reale tentativo di preservare le tradizioni tramandate di generazione in generazione. Ma il ripetere il passato non mi piace, bisogno farlo vivere e parlare dell’oggi.
Il Portogallo ha un’antica tradizione di tappeti e arazzi, tra cui i famosi Arraiolos. In che modo ha influenzato il tuo lavoro?
La mia famiglia mi ha tramandato la conoscenza di molte tecniche e una passione per la lavorazione dei tessuti. Quando ho finito l’università, ho deciso di esplorare ancora di più l’artigianato e le tradizioni del mio Paese, il Portogallo: ho voluto visitare e quasi studiare molti luoghi alla ricerca di me stessa e delle tecniche. È stato un percorso di presa di coscienza di chi sono e della storia dietro alla mia famiglia, a cui sono molto legata. Questo viaggio di conoscenza ed esperienza mi ha portato a conoscere e lavorare inaspettatamente con un laboratorio di tappeti artigianali, dove ho imparato la tecnica di Beiriz – una tecnica mano-nodo sviluppata nel nord del Portogallo. Non è famoso come il tappeto Arraiolos, ma merita di essere conosciuto.
Hai cominciato a viaggiare perché ti mancava qualcosa. Ma quando e come nel tuo percorso hai maturato questa svolta intenzionale e motivazionale dalla moda al design all’arte?
L’immagine di mio nonno che lavora il legno nel suo laboratorio – la mia parte preferita della casa – è ancora molto presente nella mia mente. Forse questo bisogno innato e di famiglia del fare con le mani è stata la svolta. Si cresce e qualcosa mi mancava. È però difficile individuare un momento preciso: è stato un percorso maturato alla fine dei miei studi e dell’università. Alla fine, ho capito che il design e la moda non erano più un qualcosa che sentivo pienamente mio. Avevo bisogno di più e la moda non era l’area dove potevo esprimermi liberamente. Così ho deciso di mescolare tutto ciò che mi appassionava: tessuti, sostenibilità, natura, artigianato e colore. Solo da allora il mio lavoro ha cominciato a prendere forma.
Le tue opere sembrano sempre organiche, nidi di e per la vita. Cosa ti ispira e guida?
Solo nella natura trovo l’ispirazione: amo le foreste e l’energia che si respira in esse. L’acqua è poi l’altro elemento per me fondamentale: gli ecosistemi sottomarini, le cascate, le onde sono un mantra da cui parto e torno con il mio gesto artistico. Ma anche viaggiare è molto importante per la mia creatività. È nel momento del rientro e del ritorno, che maturo e sedimento le mie esperienze vissute all’aperto. Se l’ispirazione proviene sempre dal mondo esterno, il processo creativo avviene in studio.
Senza forzature o auto imposizioni, inizio a selezionare i materiali che catturano la mia attenzione e inizio a creare, in base a un’idea mentale, una visione da cui parto. Poi mi lascio assorbire dal processo stesso e andare con il flusso! Il mio lavoro nel momento pratico ha un qualcosa di meditativo: riesco a pulire la mia mente, partendo dagli stimoli raccolti. Il mio non è però mai un cancellare, quanto piuttosto il prendere consapevolezza. Perciò finire il pezzo è sempre il momento della vera arte. In questa fase così speciale e solo mia cerco di capire cosa sta cercando di dirmi il mio subconscio, attraverso l’analisi e il confronto con ciò che ho creato.
Qual è la tua “dimensione”? Dal momento che parti dalla natura e hai come delle “visioni”, il tuo lavoro nasce per essere grande, grandissimo. È corretto?
Verissimo! Mi piace dire che il cielo è il limite. Più grande è il lavoro, più tempo io e il team passeremo a creare. Più complesso sarà avere un’armonia finale, ma quando è raggiunto quel traguardo è una sensazione impagabile di soddisfazione e conoscenza. Io non ho mai lavori preferiti, ma “Botanical Tapestry” lo considero un lavoro speciale, perché ha segnato il passaggio al grande formato. Ho capito che ce la potevo fare: ci ho messo quasi sei mesi per completare e inserire tutte le mie emozioni nelle trame dell’opera.
Se penso al tuo lavoro, non lo vedo in bianco e nero. Che rapporto hai con i colori?
È una domanda molto interessante. Immagino di usare i colori come mezzo per evocare emozioni, mentre rappresento la mia percezione visiva dei momenti che ho vissuto. È davvero una relazione intricata tra forma, consistenza e colore – tutti insieme trasmettono emozioni sia in me che nello spettatore. Tuttavia, io uso per lo più stock di avanzi da fabbriche tessili, quindi l’uso del colore è limitato a ciò che trovo e ho a disposizione. Ciò si traduce in una sfida aggiuntiva per trasmettere ciò che voglio esprimere in un pezzo.