«Omicidio di alto profilo». Così le autorità russe hanno definito l’uccisione del blogger militare russo Vladlen Tatarsky nell’esplosione avvenuta nel pomeriggio del 2 aprile in un bar nel centro di San Pietroburgo, in Russia.
Vladlen Tatarsky, pseudonimo di Maksim Fomin, era un noto blogger russo filoputiniano che negli ultimi mesi aveva lavorato come inviato nel Donbass durante l’invasione dell’Ucraina. Oltre a lui non ci sono altri morti, ma 25 feriti.
Diversi testimoni parlano di una ragazza che si è presentata come Nastja, diminutivo di Anastasia. Diceva di studiare all’Accademia delle Belle Arti e ha regalato a Maksim Fomin una statuetta che lo ritraeva e che sosteneva di aver realizzato con le sue mani. Cinque minuti dopo, intorno alle 18 locali, l’esplosione. Nastja sarebbe fuggita insieme agli altri sopravvissuti. Stando aIla agenzia Interfax, sarebbe lei la ragazza di nome Daria Trepova, classe 1997, fermata in serata come “sospetta”. Nome che corrisponderebbe a quello di una ventenne arrestata già nel febbraio 2022 per aver preso parte alle manifestazioni contro l’offensiva in Ucraina. Ma che i 200 grammi di tritolo deflagrati fossero nascosti nella sua statuetta è soltanto una pista.
Il bar Street Food lungo l’argine dell’isola Vasilevskij, non lontano dal centro storico di San Pietroburgo, come ogni fine settimana ospitava uno degli incontri organizzati dal canale Telegram “Cyber Front Z”. Gli oltre 117mila “patrioti” iscritti si definiscono «i soldati dell’informazione russa». I media locali – spiega Repubblica – invece li hanno ribattezzati “fabbrica dei troll 2.0” perché ogni giorno prendono di mira a colpi di mouse e tastiera i “traditori” russi o i nemici ucraini e occidentali, mentre dal venerdì alla domenica pomeriggio si riuniscono dal vivo per discutere insieme a deputati, politologi o combattenti della cosiddetta “operazione militare speciale”. Il tutto nel segno della “Z”, la lettera diventata il simbolo dell’esercito russo schierato contro Kyjiv.
«C’è stato un attacco terroristico. Abbiamo preso alcune misure di sicurezza, ma purtroppo non sono bastate», hanno scritto ieri su Telegram. Nell’ultimo anno al microfono del “Cyber Front Z” si erano avvicendati ospiti illustri come il vicepresidente della Duma Vitalij Milonov o il politologo Maksim Shugalej, già detenuto in Libia con l’accusa di essere una spia al servizio di Mosca. Il 2 aprile, invece, l’ospite d’onore era il quarantenne Maksim Fomin, nato nel Donbass ucraino ed ex combattente nelle milizie separatiste filorusse, che scriveva dietro allo pseudonimo di Vladlen Tatarskij ed era seguito da oltre 560mila persone sul suo canale Telegram dove non risparmiava critiche all’esercito. Compariva sulla locandina della serata incoronato da un drone e attorniato da fucili e lanciarazzi.
Nato ucraino nella regione di Donetsk, ex minatore, Maksim Fomin era uno dei più accesi nazionalisti russi. Poco più che trentenne per una rapina in banca era finito in carcere a Gorlovka, da cui riuscì a evadere grazie allo scoppio del conflitto nel Donbass. È il 2014. Da latitante imbraccia il fucile e si unisce ai separatisti, per lui unica garanzia di impunità. Per due anni è in prima linea, in seguito entra in un’unità di intelligence. Accumula esperienza militare e al momento dell’invasione su larga scala dell’Ucraina va a combattere nel Donbass e, contemporaneamente, fa il corrispondente di guerra per la Russia.
Il suo canale Telegram, da mezzo milione di follower, era aggiornato con messaggi quotidiani firmati con lo pseudonimo Vladlen Tatarsky, protagonista del libro culto “Generazione P” del visionario russo Viktor Pelevin, che racconta della fine dell’Unione Sovietica, dell’ingresso della società russa nel consumismo, di droghe e di mitologia mesopotamica. Di queste idee, Maksim Fomin ha intriso i suoi diari di guerra. Gli ucraini lo consideravano tra i più influenti propagandisti di Mosca. Ma non tutti i russi lo apprezzavano.
Nel 2019 si trasferisce a Mosca. Entra in contatto e posta foto con Darja Dugina, figlia del filosofo estremista Aleksandr Dugin, uccisa il 20 agosto scorso in un attentato. Lo scorso settembre Putin lo invita alla cerimonia di annessione delle quattro regioni ucraine occupate. In quell’occasione registra un video, poi diffuso sui social, in cui dice: «Sconfiggeremo chiunque, uccideremo tutti, ruberemo tutti coloro a cui dobbiamo rubare. Tutto sarà come vogliamo noi. Andiamo, Dio ci assiste». Fomin gravita nell’orbita di Evgeny Prigozhin e della Brigata mercenaria Wagner. Come il fondatore, si lamenta spesso del ministro della Difesa, delle operazioni militari condotte dallo Stato maggiore e dell’efficienza dell’arsenale russo. Inneggia al genocidio ucraino e invoca lo sterminio degli inermi. «Bisogna colpire le infrastrutture civili, in particolare le centrali elettriche. Gli ospedali smetteranno di funzionare e tanti ucraini creperanno sui tavoli operatori», scriveva. Il governo di Kyjiv lo ha sanzionato, gli ha confiscato la casa e gli ha vietato per dieci anni di rientrare nel Paese.
L’ultimo messaggio è delle 15 di ieri. Fomin pubblica la foto di un enorme manifesto a Mosca che invita ad arruolarsi nella Brigata Wagner. «È bello vedere questi manifesti per strada. Ne ho visti anche a Rostov. Ma in molte città ancora non appaiono. Spero che l’unico motivo sia che non abbiano avuto abbastanza tempo per ordinarli». Poco dopo, a San Pietroburgo una ragazza gli consegna un busto scolpito a sua immagine. Poi l’esplosione.
«I ragni si mangiano a vicenda in un barattolo», ha commentato il consigliere della presidenza ucraina, Mykhailo Podolyak suggerendo la pista del «terrorismo interno», mentre la portavoce della diplomazia russa, Maria Zakharova, ha stigmatizzato la «non celata gioia» di Kyjiv e «la mancanza di reazioni» dell’Occidente.