Autocrazia canagliaPotrebbe finire la bromance tra Orbán ed Erdogan

Negli anni il primo ministro ungherese ha costruito un asse con il presidente turco. Budapest si sente più a casa nell’Ots, alleanza di democrature asiatiche, che nella Nato o nell’Ue, ma dopo le elezioni in Turchia potrebbe perdere un alleato

Orban ed Erdogan ad Ankara
Foto AP

Il 15 marzo scorso il primo ministro ungherese Viktor Orbán ha interrotto le celebrazioni della Festa nazionale ungherese, che commemora l’inizio della Rivoluzione nel 1848, per fare le valigie verso Sud. Nell’agenda di Orbán era prioritaria la partecipazione al vertice straordinario dell’Organizzazione degli Stati Turchi (Ots, Organization of Turkish States) ad Ankara, un’alleanza libera di Paesi islamici di lingua turca composta da quattro Stati dell’Asia centrale – Kazakistan, Kirghizistan, Azerbaigian, Uzbekistan – più la Turchia, con l’Ungheria, il Turkmenistan e Cipro Nord presenti con lo status di osservatori.

L’Ungheria dovrebbe essere di troppo in questo gruppo, per una serie di motivazioni culturali e politiche: in realtà, come ha osservato Balkan Insight, questo è «un luogo in cui Orbán si sente sempre più a casa». Il leader ungherese si rivolge ai suoi colleghi dell’Ots – per lo più autocrati – non come amici, ma come «fratelli».

Questa espressione simboleggia meglio di tante altre parole l’attuale trend politico di Budapest, sempre più emarginata nelle assemblee dell’Ue e della Nato. Una tendenza che ha portato Orbán a porsi come una costante spina nel fianco per l’Occidente su un gran numero di questioni (dai diritti civili all’economia, fino alla postura controversa nei confronti del conflitto in Ucraina), avvicinandolo di fatto ai suoi nuovi «fratelli».

Tra tutti però, ci sono fratelli che contano più di altri. Il riferimento è ovviamente al presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, che in questi giorni sta vivendo giornate difficili, tra problemi di salute e una campagna elettorale molto più difficile del previsto, che vede lo sfidante Kemal Kilicdaroglu in vantaggio secondo i sondaggi.

In questi mesi, numerosi analisti e osservatori hanno indicato il possibile cambio di guida ad Ankara come uno degli eventi più importanti per la politica europea e per la stabilità del Mediterraneo, individuando nella sconfitta del sultano uno dei possibili game-changer per la regione. Tra coloro che potrebbero essere più dispiaciuti della sconfitta di Erdoğan c’è proprio Viktor Orbán, che negli anni ha costruito un asse con il presidente turco che ricorda quasi una bromance, tornando al lessico familiare usato da Orbán all’Ots.

La distanza tra Budapest e Ankara è di circa 1.400 kilometri, ma per quanto riguarda la politica Erdoğan e Orbán sono vicini. Le convergenze dei due sono state numerose negli anni, sempre su posizioni problematiche tanto per l’Europa che per gli Stati Uniti (l’Ungheria è membro Nato e Ue, mentre la Turchia è parte “solo” dell’Alleanza atlantica). Tra i momenti che hanno sancito la vicinanza tra i leader sul proscenio globale, c’è stata la guerra in Ucraina: sulla scorta dei buoni rapporti con Mosca, Orbán ed Erdogan hanno indebolito la posizione occidentale di fronte a Vladimir Putin.

Il presidente turco si è impegnato a ostacolare l’ingresso nella Nato di Finlandia e Svezia (su quest’ultima, tra l’altro, ancora non ha sciolto le riserve), accusando i due Paesi di proteggere gruppi di terroristi curdi delle organizzazioni Pkk e Ypg. Ora, sia la Turchia che l’Ungheria continuano a usare il processo di candidatura come leva in diverse dispute con Stoccolma.

Su questo tema stanno agendo in maniera sincronizzata: quando Erdogan ha annunciato che i legislatori turchi avrebbero proceduto alla ratifica della Finlandia, il Parlamento ungherese si è affrettato a votare per accogliere Helsinki nella Nato. Con la disputa tra Svezia e Turchia in corso, Budapest sta facendo pressioni su Stoccolma per contrastare la decisione dell’Unione Europea di congelare l’accesso dell’Ungheria ai fondi di coesione dell’Ue (un provvedimento preso da Bruxelles a causa della diffusa percezione che il governo di Orbán sia illiberale).

Il premier ungherese ha creato problemi anche per quanto riguarda il veto sull’embargo del petrolio proveniente dalla Russia, la principale misura del sesto pacchetto di sanzioni dell’Unione europea, dopo che la commissione di Ursula von der Leyen gli aveva offerto un generoso aiuto per ristrutturare l’infrastruttura energetica del suo Paese. Per l’uno come per l’altro, la priorità è stata il tornaconto nazionale di breve periodo e l’opinione pubblica interna. Il consenso domestico – il terrorismo per la Turchia, l’energia per l’Ungheria – è stata la loro stella polare.

Nonostante la minaccia russa in Europa, l’Ungheria e la Turchia hanno più volte colpito alle spalle le organizzazioni di cui fanno parte. Orbán è da anni ai ferri corti con l’Ue per quanto riguarda la politica estera e la politica interna. Il governo ungherese ha bloccato qualsiasi politica europea comune in materia di rifugiati, scaricando di fatto la questione sui suoi vicini.

È facile dimenticarlo, ma la grande ondata migratoria verso la Germania nel 2015 è iniziata solo quando l’allora cancelliera Angela Merkel ha accolto alcune migliaia di rifugiati bloccati a Budapest. Sul piano interno, invece, Orbán ha praticato una sorta di democrazia illiberale e ha manipolato il panorama politico e mediatico ungherese a vantaggio del suo partito.

A metà luglio 2022, invece, Erdogan ha scioccato i suoi alleati occidentali non solo partecipando a un vertice a Teheran con il presidente iraniano Ebrahim Raisi e il russo Vladimir Putin. È stata l’immagine di quell’incontro a fare notizia. Tutti e tre gli uomini posavano tenendosi per mano, con l’ospite iraniano al centro. È stata un’immagine di unità trionfale.

La ministra degli Esteri tedesca Annalena Baerbock aveva commentato: «Il fatto che il presidente turco sia in questa foto è una sfida, a essere gentili». Ma se quella foto era una sfida, si può solo ipotizzare cosa abbia pensato la Baerbock del successivo incontro tra Erdogan e Putin, avvenuto nella residenza estiva di Putin a Sochi. La motivazione era chiara: ottenere il permesso della Russia per iniziare una nuova offensiva militare nel Nord della Siria.

La Nato e l’Ue, allo stesso tempo, non possono permettersi di perdere nessuno dei due Paesi: Budapest e Ankara sono strategicamente importanti e la loro cooperazione è fondamentale. Qualche messaggio è comunque arrivato dagli Stati Uniti in questi mesi, come l’esclusione di entrambi i governi dal Summit per la Democrazia americano. D’altronde, per i due leader la democrazia non sembra la priorità, data la spirale autocratica in cui hanno portato i loro Paesi; entrambi, tra l’altro, hanno alle spalle un’esperienza pluriennale da capi dei rispettivi governi.

Condividono anche gli stessi nemici: tra tutti, il miliardario George Soros, da sempre bersaglio mondiale di complottisti e sovranisti. Soros, fondatore dell’Open Society Foundations, rappresenta un nemico esistenziale per Ungheria e Turchia e cita spesso Erdogan e Orbán come due pericolosi nemici della democrazia liberale e della società aperta.

La lista completa di tutti i momenti in cui la bromance turco-ungherese ha calcato la scena sarebbe troppo lunga: basti soltanto pensare allo scenario in Siria nel 2019, quando Orbán sostenne apertamente le operazioni di Ankara nel Nord del Paese. Viktor Orbán è stato per anni forse l’unico politico dell’Ue a sostenere ripetutamente Ankara, mentre la maggior parte del continente si è opposta con forza alla politica del presidente turco.

Stando al suo primo ministro, l’Ungheria avrebbe due ragioni principali per coltivare uno stretto rapporto con Erdogan. Il primo argomento è il ruolo chiave che la Turchia svolge nel fenomeno migratorio, mentre l’altro è rappresentato dai possibili benefici economici che il governo ungherese può aspettarsi dalla regione dell’Asia centrale (principalmente l’espansione del mercato delle esportazioni).

Più recentemente, i turchi sono stati coinvolti anche nello sviluppo delle forze armate ungheresi: ad esempio, le Forze di Difesa di Budapest hanno acquistato veicoli blindati turchi. Gli oligarchi associati a Erdogan sono da tempo presenti nel settore immobiliare e dell’energia solare ungherese, rafforzando così gli stretti legami tra i due leader.

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