Di cosa parliamo quando parliamo di fabbriche? Nel settore del lusso, specialmente da Prada, la parola più adatta sarebbe laboratorio, nonostante i dipendenti siano molti e divisi per comparti. Eppure, l’aria che si respira è tutt’altro che quella corrispondente all’immaginario comune. Niente caos, nessuna frenesia, anche il rumore dei macchinari sembra dissolversi nell’atmosfera candida, quasi immacolata dell’edificio che sorge a Valvigna, con il nome dello storico marchio che svetta al di sopra degli altri edifici nelle vicinanze, a strapiombo sull’imbocco autostradale.
Un luogo immerso nella natura, una sorta di giardino dove, dalle numerose vetrate battute dalla luce del sole e tagliate dall’azzurro del cielo, le piante ammantano le sale di una luce verdastra, una scelta centrale nell’ideologia e nella pratica dell’architetto Guido Canali che ha curato il progetto.
Insignito nel luglio 2016 dal Brand&Landscape Award, bandito dal Consiglio nazionale degli architetti e dalla rivista “Internazionale Paysage Topscape”, è qui che si raccolgono le attività industriali di lavorazione della pelletteria, qui i prodotti vengono “fatti” per davvero e scoprirne il processo non manca mai di stupire, di sorprendere. Certo, siamo abituati a borse che valgono molto, e molti di noi suppongono sia una questione puramente di tradizione, di logo, di firma. Invece, come tiene a precisare il direttore industriale Massimo Vian, si paga soprattutto la rifinitura, la cura, la precisione che sta alle spalle degli accessori. Valorizzarla, portarla allo scoperto, è un compito, anzi, una missione che serve anche per dare visibilità a chi quotidianamente produce, aggiusta, segna numeri e proporzioni ed è formato allo scopo di creare un oggetto armonico, equilibrato, perfetto.
Come abbiamo approfondito in altre occasioni, ricorrere a nuove maestranze è essenziale per il comparto della moda. Le scuole di specializzazione crescono, si espandono, e in molti casi concorrono ad aumentare esponenzialmente il numero dei giovani assunti o in via d’assunzione: i centri che formano i dipendenti, i nuovi, moderni operatori o artigiani, li accolgono quando non hanno ancora nessuna competenza, alla fine del percorso liceale. Le classi sono piccole, comprendono non più di quindici studenti per academy e dopodiché vengono affidati ad esperti, agli anziani, a coloro che già presiedono le macchine. L’obiettivo è diventare capaci di assemblare una borsa a mano.
La borsa Galleria 1BA896, nello specifico, prevede circa almeno cinque, sei ore di cucitura e per realizzarla occorrono cinquanta, cento pezzi. Lo stilista intuisce, disegna l’idea e poi la consegna ai tecnici, i quali la realizzano come architetti che si dedicano a un’opera in scala ridotta, a una sorta di piccola dimora: servono infatti una base e un rivestimento. Anzi, ogni singolo componente della borsa viene, come si dice in gergo, “infustato”. Il montaggio prevede quattro passaggi: la realizzazione del modello attraverso il disegno, il taglio di tutte le componenti, la fase di preparazione delle componenti, di modo da dare vita a parti utili per essere assemblate e infine il vero e proprio assemblaggio, compresa la cucitura.
Niente è lasciato al caso, ogni dettaglio è studiato, come ad esempio la minuscola fessura che si apre su un fianco della borsa e che serve affinché la struttura regga il passaggio a tracolla. Il design è stringato, austero, proprio come vige all’interno dell’iconico apprendistato di Miuccia, per cui andrebbe portata a mano, il manico stretto tra le dita o appoggiato al polso, come avrebbe fatto lei, ma i colori, il ricorso a una palette arcobaleno suggeriscono lascivia, freschezza, elasticità: ecco il motivo della possibilità di tenerla sulla spalla, che comunque è d’obbligo per ogni it bag che si rispetti. Adatta cioè a donne giovani, indaffarate, che con la borsa devono scendere in metropolitana, magari viaggiare, andare e tornare dal lavoro, e non più soltanto alle signore della seconda metà del Novecento che sedevano nelle caffetterie pregiate del centro insieme alle loro strettissime gonne a tailleur.
E non stiamo parlando di borse qualsiasi, perché qui vengono conservate le bag che negli anni hanno concorso a fare la storia. Oltre alla Galleria 896, sono conservati materiali d’archivio che constano circa 73.000 capi delle collezioni dei marchi del Gruppo Prada. Dalle giardiniere alle pochette agli articoli da viaggio gli anni sfilano, uno in fila all’altro, depositando cimeli e ricordi antichissimi, immagini estrapolate dalla televisione o dal cinema. C’è il baule utilizzato per il film di Wes Anderson Grand Budapest Hotel o la borsa che sfoggia Meryl Streep ne Il diavolo veste prada. Ma soprattutto quelli delle sfilate che dagli anni Novanta ai giorni nostri sono stati religiosamente custoditi, protetti, catalogati, stagione dopo stagione.