Sotto la guida del presidente Lula Inácio da Silva, il Brasile è tornato a essere un attore di primo piano nel dibattito sul cambiamento climatico e sulla protezione dell’ambiente, come già durante i suoi primi due mandati (2003-2010). Il paese è tuttavia molto più polarizzato rispetto al passato, affronta maggiori difficoltà economiche e deve fare i conti con i danni ambientali causati dalle politiche dell’ex presidente Jair Bolsonaro; al contempo, a livello mondiale si registrano gravi sconvolgimenti in seno ai sistemi politici e commerciali (soprattutto a causa della pandemia di Covid-19 e alla guerra in Ucraina).
Nella recente campagna elettorale si sono affrontate due visioni opposte del mondo le cui divergenze emergevano chiaramente dalla dicotomia dei piani per l’ambiente dei due candidati alla presidenza: da un lato Bolsonaro, sostenuto dalle società agroindustriali, che considera le risorse naturali del paese come mero carburante per lo sviluppo economico e trascura il potenziale costo ambientale e umano del loro sfruttamento non regolamentato; dall’altro Lula, il cui piano di governo s’incentra sulla protezione della foresta pluviale e sul raggiungimento degli obiettivi dell’Accordo di Parigi, per quanto anch’egli, proprio come il suo avversario, riconosca che i combustibili fossili saranno ancora per qualche tempo d’importanza fondamentale per il paese.
La questione climatica al centro delle strategie politiche
Lula ha fatto della questione ambientale uno dei leitmotiv del suo programma nazionale, incentrato su tre pilastri: rafforzamento delle istituzioni, riforme legislative e cooperazione internazionale. Naturalmente, gran parte delle proposte di Lula fa leva sui successi dei suoi mandati precedenti e si pone l’obiettivo politico, intrinseco e simbolico di smantellare l’eredità di Bolsonaro e porre rimedio al terribile degrado ambientale causato dalla sua amministrazione. Anche le politiche ambientali sono viste come centrali perché il Brasile torni a essere un attore di rilievo sulla scena mondiale e un motore dell’integrazione regionale.
Alla COP27, Lula ha ribadito l’impegno a riprendere il lavoro già svolto durante la sua presidenza, quando la deforestazione era diminuita di un sorprendente 70 percento (dati PRODES), l’impegno a intensificare gli sforzi per limitare l’estrazione di oro, il disboscamento e l’espansione agricola illegali, e la volontà di ripristinare gli ecosistemi fondamentali per il clima. Nel gennaio del 2023, al vertice della Community of Latin American and Caribbean States (CELAC, Comunità di Stati Latinoamericani e dei Caraibi), che ha segnato il ritorno del Brasile dopo che nel 2020 Bolsonaro ne aveva revocato l’adesione, Lula ha sostenuto che la collaborazione su questioni quali la transizione energetica, il cambiamento climatico e la sicurezza alimentare può rafforzare il peso della regione sulla scena mondiale. A tal proposito, Lula ha annunciato che il Brasile ospiterà un vertice degli stati amazzonici e ha presentato la candidatura del paese a ospitare la COP30 nel 2025. Inoltre, presto il Brasile presiederà due forum strategici per favorire la cooperazione internazionale su tali (e su altre) questioni: il G20 nel 2024 e il BRICS nel 2025.
Oltre all’intensa azione diplomatica, Lula ha da subito intrapreso azioni a livello nazionale: già nel primo giorno del suo mandato ha emesso sei decreti di revoca dei progetti di legge del governo precedente (progetti che promuovevano l’estrazione mineraria in aree protette e facilitavano l’accesso alle armi da fuoco), e ha ripristinato l’Amazon Fund, tramite cui i governi esteri possono contribuire finanziariamente alla conservazione della foresta pluviale. Sul fronte istituzionale, il nuovo governo ha creato una Segreteria per il clima, l’energia e l’ambiente in seno al Ministero degli affari esteri, e ha istituito una Commissione interministeriale permanente per la prevenzione e il controllo della deforestazione; inoltre, il nuovo ministro dell’Ambiente, Marina Silva, ha annunciato l’istituzione di un’Autorità nazionale per la sicurezza climatica che, se approvata dal Congresso brasiliano, supervisionerà l’esecuzione e l’attuazione della politica climatica del paese. Nel frattempo, un’operazione su larga scala volta a ostacolare gli approvvigionamenti di carburante e di cibo diretti ai minatori d’oro illegali nello stato di Roraima ha costretto centinaia di garimpeiros ad abbandonare quelle terre in cui le loro attività illegali hanno causato l’avvelenamento delle falde acquifere e innescato conflitti locali, con conseguente crisi umanitaria a danno dei gruppi indigeni degli yanomami.
Più ostacoli rispetto a vent’anni fa, necessarie le alleanze
In ogni caso, nonostante le buone intenzioni, Lula potrebbe dover affrontare una dura battaglia per attuare il suo ambizioso programma. La prima serie di ostacoli deriva dalla situazione politica interna del paese, caratterizzata da divisioni molto più profonde rispetto a vent’anni fa. Lula ha vinto la corsa alla presidenza con un margine estremamente esiguo (il 50,9 percento dei voti), e per di più, il suo partito e i suoi alleati non hanno ottenuto la maggioranza dei seggi in nessuna delle camere del Congresso, in cui sono invece stati eletti diversi alleati di Bolsonaro. Pertanto, malgrado i presidenti di Camera e Senato, recentemente rieletti, siano in buoni rapporti con il suo governo, Lula dovrà stringere alleanze e negoziare con diversi attori politici ed economici al fine di ottenere l’approvazione dei provvedimenti che annullano le leggi pro-sfruttamento di Bolsonaro. Un aspetto forse persino più rilevante è che il Brasile è ora più polarizzato che mai, come dimostrato dal risultato elettorale e soprattutto dall’assalto di massa dell’8 gennaio ad alcuni dei più importanti edifici governativi di Brasilia. Ampie fasce della società seguono in maniera cieca e radicale i precetti di Bolsonaro e addirittura non riconoscono Lula come legittimo presidente, sulla base di accuse infondate di brogli elettorali (Bolsonaro, del resto, non ha mai ammesso la sconfitta e non si è presentato alla cerimonia di giuramento del nuovo presidente).
Gli eventi dell’8 gennaio, quando migliaia di fanatici di destra hanno preso d’assalto, pressoché indisturbati, il Congresso, il palazzo presidenziale e la corte suprema, sono la prova dei rischi per la governabilità e la stabilità del paese riconducibili all’erosione dei valori democratici e all’indulgenza di parte della macchina istituzionale. Non si esclude che l’annuncio del ritorno di Bolsonaro nel paese spinga i suoi sostenitori a cercare uno scontro permanente.
È inoltre probabile che la reintroduzione di politiche a tutela dell’ambiente non sarà sufficiente per fare ordine nel caos provocato dall’amministrazione Bolsonaro. Secondo il WWF, nei quattro anni in cui Bolsonaro è stato al governo sono stati distrutti 45.586 km² di foreste, un’area più estesa della Danimarca: un tale ritmo di deforestazione medio non si registrava dal 2009. Oltre che per il disboscamento non regolamentato, buona parte della foresta pluviale è andata persa a causa degli enormi roghi che hanno incendiato migliaia di ettari di terreno e che, secondo alcuni osservatori, sono stati appiccati intenzionalmente per liberare spazio da destinare all’allevamento del bestiame e alla coltivazione della soia. Dal punto di vista delle istituzioni, l’amministrazione Bolsonaro ha ridotto il budget destinato alle agenzie ambientali brasiliane di oltre il 70 percento rispetto al 2014, portandolo al livello più basso degli ultimi 17 anni. Gli scienziati temono che disboscamento incontrollato, alterazione dei cicli delle precipitazioni e perdita di biodiversità possano portare l’Amazzonia al punto di non ritorno entro dieci anni, con conseguente trasformazione della foresta pluviale in un ambiente analogo alla savana. Pertanto, con ogni probabilità Lula dovrà non solo rallentare la deforestazione, ma persino promuovere la riforestazione e al contempo destinare nuovi flussi di risorse alle moribonde agenzie ambientali.
Un contesto economico complesso da gestire
Oltre a dover affrontare le criticità causate dalla polarizzazione politica e dai danni ambientali, questa volta l’amministrazione Lula si troverà anche a operare in un contesto economico più complicato, danneggiato dalla pandemia di Covid-19 e dalle conseguenze della crisi innescata dall’invasione russa dell’Ucraina. L’amministrazione Bolsonaro ha portato risultati disastrosi anche nella gestione della pandemia, perché, almeno inizialmente, ha optato per un atteggiamento negazionista che ha causato quasi 700mila decessi; in Brasile il bilancio delle vittime è infatti il secondo più alto al mondo dopo quello degli Stati Uniti. Inoltre, il governo ha speso circa 60 miliardi di dollari in misure di mitigazione, tra cui trasferimenti di denaro ai più poveri, facendo così salire il debito pubblico, nel 2020, a circa il 90 percento del Pil.
La cattiva gestione della pandemia ha avuto un impatto negativo anche sul sostentamento di milioni di cittadini. Nel 2021, secondo uno studio di FGV Social dal titolo “New Poverty Map”, 62,9 milioni di brasiliani (il 29,6 percento della popolazione) vivevano sotto della soglia di povertà: si tratta della percentuale più alta del decennio. Nei primi due mandati, Lula ha promosso politiche di contrasto alla povertà che hanno consentito a 20 milioni di brasiliani di uscire dall’indigenza, ma all’epoca il mondo non era impegnato nella lotta per la ripresa dalla pandemia né viveva gli ulteriori sconvolgimenti oggi causati dalla guerra in Ucraina. Secondo l’Economist, nel 2023 la recessione economica mondiale è praticamente inevitabile, a causa del combinarsi delle tensioni geopolitiche, che aprono una fase di incertezza per i mercati mondiali, con l’impennata dei prezzi delle materie prime (in particolare nel settore energetico) conseguente all’invasione russa dell’Ucraina e alle sanzioni imposte da Unione europea e Stati Uniti sul petrolio e sul gas russi (oltre che su altri settori), e, infine, con il deterioramento della stabilità macroeconomica a fronte del rialzo di inflazione e tassi di interesse. È probabile che tali vincoli aggravino anche la dipendenza dai combustibili fossili di un numero maggiore di stati, facendo così slittare in secondo piano la transizione energetica verde.
In America Latina queste dinamiche hanno innescato un’impennata dei prezzi di carburanti e fertilizzanti, beni fondamentali per il mantenimento della produzione agricola destinata all’esportazione come anche al consumo interno. I rincari aggravano l’insicurezza alimentare, già cronicamente elevata, in una regione sempre più colpita da siccità prolungate ed eventi meteorologici estremi esacerbati dai cambiamenti climatici.
La guerra e le relazioni consolidate con la Russia
Infine, l’escalation delle tensioni tra le potenze mondiali dopo lo scoppio della guerra in Ucraina riduce il margine di manovra per la cooperazione internazionale, anche su temi come la protezione dell’ambiente. L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha sovvertito l’ordine internazionale basato su regole e ha messo alla prova la capacità delle istituzioni multilaterali di fungere da garanti di tale ordine.
Tuttavia, questa visione, condivisa dalla maggioranza dei paesi occidentali, non ha trovato grande diffusione in America Latina, dove la guerra, percepita come un lontano scontro tra potenze mondiali, ha risvegliato una propensione al non allineamento analoga a quella della Guerra Fredda e confermata dalla diffusa neutralità manifestata in occasione delle votazioni in seno all’ONU.
Il Brasile, che insieme al Messico è il partner economico più importante della Russia in America Latina, non ha fatto e non fa eccezione, né sotto la guida di Bolsonaro né sotto quella di Lula. Nel 2022 Bolsonaro ha addirittura consolidato le relazioni con la Russia, recandosi in visita a Mosca poche settimane prima dell’invasione e aumentando le importazioni di gasolio russo del 15 percento. Lula ha condannato l’invasione, ma si è rifiutato di fornire aiuti militari all’Ucraina. Il conflitto in Ucraina ha catalizzato l’attenzione degli organi politici delle Nazioni Unite e di altri importanti forum multilaterali come il G20. Il gruppo BRICS, infine, si è persino trasformato in una sorta di salvagente per la Russia, perché ha impedito di separare il dibattito sui cambiamenti climatici dal ruolo politico del gruppo sulla scena mondiale. In sintesi, dobbiamo accogliere con favore il ritorno del Brasile sulla scena internazionale in qualità di grande sostenitore della tutela dell’ambiente e di promotore della transizione energetica verde ma, visti gli ostacoli nazionali e internazionali, il successo della sua nuova amministrazione è tutt’altro che certo.
Tiziano Breda è ricercatore nel programma IAI Attori Globali, dove si occupa di politica e sicurezza internazionale