E quindi voi pensate che il problema sia che Matteo Salvini, ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, avesse messo nello stesso tweet – un tweet che poi ha cancellato, ma figuriamoci se in una giornata feriale noi non abbiamo avuto il tempo di fare degli screenshot sui quali poi indignarci in una seconda giornata feriale – la prestazione scadente della sua squadra di calcio e l’alluvione in Emilia Romagna.
E quindi voi pensate che se il tweet di Matteo Salvini avesse contenuto solo la prima parte – cioè: «Cuore e impegno (e telefono che squilla di continuo) dedicati ai cittadini di Emilia e Romagna che lottano con acqua e fango» – allora sì sarebbe stata cosa buona e giusta. Anzi, forse no: ma non sarebbe andato bene perché Salvini è uno dei cattivi, mica perché obiettiate al modulo.
Lasciate che, prima di venire all’identico modulo-Quelo applicato da buoni e cattivi, vi parli della sindrome rara e incurabile che mi affligge: sono produttiva. Sono una che se deve consegnare un lavoro lo manda in anticipo, sono una che si sbatte per fare le cose fatte bene anche se ci vuole più tempo e attenzione che per farle sciattamente, sono una che pensa che il lavoro che sei pagato per fare tu debba farlo senza che ti preghino di farlo, ti ricordino che va fatto, si organizzino pensando che magari ti distrai e non lo fai. Da uno studio dell’università di Tubinga, in Italia siamo afflitti da questa condizione in non più di tredici.
Tredici infelici circondati da avvocati che non fanno il lavoro per cui li paghiamo, cameriere che non fanno il lavoro per cui le paghiamo, commercialisti che non fanno il lavoro per cui li paghiamo, editori che non fanno il lavoro per cui incredibilmente continuano a venire pagati. Gli unici che assolvono zelanti al loro compito sono i polemisti che diranno che sono sessista perché al femminile ho messo solo le cameriere – e infatti gli zelanti nessuno li paga.
Volete sapere come trascorriamo le giornate noi tredici, oltre che lavorando? Ricevendo i vostri messaggi. Messaggi in cui, come quindicenni che pensano di poter far fesso il prof, tentate d’intortarci notificandoci una produttività inesistente. Un giorno scriverò il grande romanzo della cialtroneria, e conterrà notifiche di «domani chiedo un appuntamento al pm», «stasera ti arriva la bozza corretta», e altre politiche dell’annuncio con cui i fessi improduttivi da cui siamo circondati noi tredici s’illudono di lasciarci una buona impressione. Si ricorderà di ciò che le ho detto che stavo per fare, diamine, mica di ciò che non ho fatto.
I politici italiani, che sono identici all’elettorato, hanno capito che, se dicono di lavorare tantissimo, poi non servirà che lavorino anche pochissimo, e da anni ci ammollano il modulo-Quelo: ma tu lo sai a che ora mi sono svegliato io stamattina, la bambina ha vomitato. Abbiamo lavorato a Ferragosto, lavoriamo anche la domenica, abbiamo saltato le vacanze. È tutto così, con l’aiuto di quell’infernale produttore di perpetua imbecillità che sono i social.
Che un politico stia sui social per dire una cosa giusta o una cosa sbagliata, comunque sta perdendo tempo. Per dirla in populistese: non è pagato coi miei soldi per twittare, per farsi le foto, per dire quanto lavora o parlare della partita, due concetti che perde esattamente lo stesso tempo a esprimere e che solo degli imbecilli possono collocare in una graduatoria morale. Cos’avremmo pensato vent’anni fa d’un politico che passasse le giornate a fare conferenze stampa? Perché non pensiamo la stessa cosa di politici che producono più contenuti social di Chiara Ferragni?
In questi giorni in cui Bologna affoga, il sindaco Matteo Lepore s’instagramma in corso di preterizione («non farò polemiche», dice mentre si filma che polemizza con l’opposizione); s’instagramma mentre un elicottero salva tre rom che stanno affogando (che sfiga essere bolognese, che peccato: fosse il sindaco di Roma, sull’elicottero ci sarebbe come minimo Tom Cruise che gira “Mission: Impossible”); s’instagramma mentre ci dice che è sera ma lui ancora vigila sull’acqua che sì, sommerge via Saffi, ma è colpa d’un negozio che non ha chiuso un buco da cui entra l’acqua (giuro: fanno a chi tocca chiudere il buco, mentre i residenti devono uscire di casa con le pinne e i braccioli; dice che, se non lo chiude il negozio, tra cinque giorni provvederà il comune: cosa sono mai cinque giorni, quando hai le branchie).
Lepore, come Salvini, come tutti, pensa (sa) che non conta quello che fa ma quel che mostra di fare, che racconta di fare, che s’autoscatta facendo. Quando Berlusconi faceva campagna elettorale definendosi «presidente operaio» lo prendevamo per il culo, poi sono arrivati i telefoni con la telecamera e abbiamo smarrito il senso del ridicolo (poi sono arrivati questi esibizionisti in minore e abbiamo rivalutato Berlusconi, anche).
Venerdì sera sono arrivata a Bologna alle nove e mezza, in stazione non c’erano taxi, e ho deciso di andare a piedi. Sotto il portico di via Indipendenza, un chilometro di strada tra la stazione e piazza Maggiore, c’erano decine di persone che dormivano. Non mi ha stupito più di tanto: conosco Bologna abbastanza da sapere quanto sia la San Francisco italiana, piena di poveri, di disperati, di gente di cui nessuno si occupa perché la sinistra postmoderna è impegnata a baloccarsi con l’identità di genere.
Ho pensato che avrei dovuto scrivere l’ennesimo pezzo sull’inutilità d’una sinistra che si autocertifica progressista e accogliente e tutti gli altri fantastici primati che il sindaco Lepore attribuisce alla città che amministra, e poi non si cura di chi vive per strada; avrei dovuto, ma non l’ho fatto perché mi vengo a noia da sola.
Però sono quattro giorni che diluvia abbastanza da avere l’acqua invaso anche i portici, e io mi chiedo dove dormano quei disperati, e non è che Salvini può fare un tweet insultandoli, così finalmente qualcuno li difende, finalmente qualcuno si accorge di loro, finalmente qualcuno fa una cosa di sinistra? Poi, se funziona, abbiamo la conferma d’un altro problema – le cose di sinistra vengono fatte solo per far dispetto a Salvini – ma almeno intanto abbiamo trovato ai dimenticati dal comune di Bologna un posto in cui possano dormire pur senza avere le branchie.