Buon compleanno Calvarino Il Soave Doc di Pieropan celebra 50 anni e piace ai sommelier

La storica etichetta del produttore veronese sa invecchiare e sempre più ristoranti ne ricercano le vecchie annate: in Italia più di cinquanta, tra stellati e insegne con particolare attenzione alla carta vini. Un punto importante a favore dei grandi bianchi italiani

Cantina Pieropan, Sala La Rocca

«Tu cosa capisci di questi vini?»
«Io non capisco il Calvarino».
«Perché?»
«Perché non è Soave ma non è neanche La Rocca, è quel fratello di mezzo che nessuno capisce».
Dario Pieropan delinea così il profilo della storica etichetta di famiglia, attraverso un frammento di conversazione di vent’anni fa, in cui il padre Leonildo chiedeva a lui, appena entrato in azienda, che idee avesse dei vini di casa. «Probabilmente l’identità del Calvarino si iniziava a capire solo quando aveva fatto almeno 2-3 anni di bottiglia e aveva avuto il tempo di evolvere» racconta Dario. «Allora, colta la mia lamentela, mio padre mi chiese: tu cosa faresti? e io con ingenuità risposi: teniamolo un altro anno in cantina». L’idea non teneva conto né delle problematiche di spazio né di quelle di mercato, ma così è andata.

Dario oggi è alla guida dell’azienda di famiglia a Soave (Vr), assieme al fratello Andrea e alla madre Teresita, e il Soave Doc Classico Vigneto Calvarino ha ormai spento cinquanta candeline. Da quando c’è stata quella conversazione, ogni anno vengono messe via un migliaio di bottiglie (su circa 70mila prodotte), destinate a invecchiare in cantina e a essere vendute soprattutto alla ristorazione. Una proposta, che oggi incontra il favore di oltre cinquanta ristoranti italiani, tra stellati e non, enoteche e osterie, che mettono in carta anche selezioni di annate più vecchie.

Andrea, Dario e Teresita Pieropan

Il fratello di mezzo
Calvarino, prima di essere il nome di un vino, è il nome di un vigneto che appartiene alla famiglia Pieropan dal 1901. Lo acquistò Leonildo – non il padre di Dario, ma il bisnonno, che si chiamava come lui – e aveva questo nome perché coltivarlo era un “calvario”, tra pendenza e un terreno non proprio facile, con forte presenza di rocce basaltiche. Le viti c’erano già e principalmente di due varietà: le bianche Garganega e Trebbiano di Soave, che entrano nel blend del Calvarino rispettivamente al 70% e 30% circa (come permesso dal disciplinare). Queste uve, assieme alle caratteristiche date dal suolo e dall’esposizione del vigneto, rendono il vino particolarmente adatto all’invecchiamento.
A proposito di invecchiamento, il Calvarino viene prodotto da sempre nello stesso modo: la prima parte dell’affinamento avviene in cemento per un anno e poi riposa in bottiglia. Stop. Aprirne una bottiglia giovane significa trovare acidità da vendere e un’identità non ancora del tutto espressa, mentre via via che si va indietro negli anni è come se aumentassero le possibili chiavi di lettura. Un po’ come l’effetto che fa un libro quando lo leggi a 17 anni per poi riaprirlo a 37. Solo che in questo caso il libro è liquido e non cambi tu, cambia lui.

Verticali in carta
Il potenziale di invecchiamento del Calvarino non è certo una novità per chi è del mestiere, così accade che le annate più vecchie di questo vino bianco si facciano strada in un panorama che in Italia è ancora molto appannaggio dei grandi vini rossi. Fino a qualche mese fa Casa Perbellini aveva in carta una lunga selezione di annate di Calvarino e viene naturale pensare che lo chef Giancarlo Perbellini – grande estimatore di questo vino – possa decidere di replicare la scelta sotto la sua nuova insegna, i 12 Apostoli. Ma non è il solo, tra gli stellati a proporre una profondità di annate del Soave Classico di Pieropan ci sono anche Le Calandre di Max Alajmo, l’Osteria Francescana di Massimo Bottura e molti altri. «Dall’Italia c’è sempre stata una domanda, molto spesso legata al singolo sommelier e magari dopo un’esperienza all’estero dove trovava etichette di questo tipo. Per molti anni – spiega Andrea Pieropan – si è trattato di una richiesta proveniente quasi esclusivamente dai ristoranti stellati, ma oggi arriva anche dalle trattorie di qualità, che vogliono ampliare le possibilità per i propri clienti».
Oggi in Italia si stimano tra i cinquanta e i settanta ristoranti che propongono una profondità di millesimi di Calvarino e di La Rocca – altro cru di Soave Doc Classico di Pieropan, dal vigneto omonimo – mentre all’estero le vecchie annate volano in Giappone e nel Regno Unito, due tra i mercati più sofisticati in fatto di vino. «Ogni anno ritirano più di 300 bottiglie di dieci anni in più. Sono i Paesi da cui giunge il maggior interesse», dice Dario Pieropan, che assieme al fratello sta valutando la possibilità di aprire la vendita di vecchie annate anche ai privati.

Cantina Pieropan

Vini bianchi e invecchiamento, sarà questione di crederci?
Come talvolta succede, quando si fa il paragone con i vini bianchi francesi pare di aver scoperto l’acqua calda. Non è affatto strano parlare di vecchie annate per i vini bianchi d’Oltralpe e i prezzi sono decisamente più alti rispetto a quelli della maggior parte dei vini bianchi italiani. «È tempo di porre fine al preconcetto secondo cui il vino bianco deve sempre costare qualcosa in meno del rosso, quando poi si possono aprire bottiglie di quarant’anni e non avere niente in meno di un rosso» dice Andrea Pieropan. «I rossi vengono pagati mediamente il 30-40% in più rispetto ai bianchi. Penso che le bottiglie storiche possano aiutare a dare una diversa percezione della qualità», aggiunge.
Come lui sono molti i produttori italiani che insistono sulla capacità di invecchiamento dei propri vini bianchi, oltre che sulle capacità di molte uve bianche italiane di dare vini con queste caratteristiche. Allo stesso tempo però accade che moltissimi di questi bianchi italiani capaci di grande longevità vengano venduti ancora troppo giovani e viene un po’ da chiedersi se ci si creda veramente nell’invecchiamento dei bianchi. Inoltre, la scelta di mettere in carta vecchie annate di un vino bianco forse è ancora troppo legata al brand di un vino, più che alla reputazione della denominazione da cui quel vino proviene. La speranza è che i risultati di “brand” come il Calvarino possano aprire la strada a una diversa consapevolezza, non solo da parte dei consumatori, ma anche dei consumatori e di tutta la filiera, per iniziare a innalzare i prezzi di questi vini. Fino ad allora, le vecchie annate di certi vini bianchi restano una scelta infallibile in termini di rapporto qualità-prezzo. Sarà meglio approfittarne.

Cantina Pieropan, vista dei vigneti Calvarino

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter