Cuoco di Putin, mafioso di serie B, signore della guerra, Wunderwaffe del Cremlino, antagonista dell’establishment militare, possibile successore dello zar, sadico, genio manipolatore: il potere di Yevgeniy Prigozhin deriva in buona parte anche dall’accumulazione di ritratti mediatici che gli vengono fatti.
In un sistema politico, non solo russo, nel quale i fatti sono appiattiti sull’interpretazione spesso superficiale dei media, l’ambiguità sul vero ruolo politico di Prigozhin è la leva sulla quale lui ha costruito il proprio impero. Il patron di Wagner si muove nella palude moscovita dietro a una cortina fumogena di incertezza: oltre l’ovvio rischio fisico che si corre, antagonizzarlo vuol dire finire nel tritacarne degli scontri di palazzo, nel quale Prigozhin è tanto parte attiva quanto pedina.
È a partire dalla metà dello scorso decennio che la sua compagnia militare privata si è arrogata parte della politica estera russa, agendo da longa manus del servizio segreto militare Gru, entrando in conflitto i suoi avversari: le forze armate, il ministero della Difesa e, a volte, il servizio segreto federale Fsb. Ma come sappiamo, guardando alle attività di Wagner in Africa e Donbas, Prigozhin è tutto fuorché un burattino dei suoi sponsor istituzionali: avanza una propria agenda politica volta ad accumulare sufficiente capitale politico e monetario per sopravvivere agli scontri con rappresentanti delle istituzioni che lo disprezzano.
Feudalesimo e burocrazia
Dopo anni di riserbo, l’ex carcerato ha iniziato a partecipare attivamente alla vita pubblica russa, inscenandosi come battitore libero con il fegato di parlare al potere ufficiale, corrotto e incapace di eseguire gli ordini del presidente. La sua presenza mediatica è un’arma nello scontro fra le due anime del regime putiniano. Da un lato c’è la burocrazia militare e civile, i tecnocrati e piccoli cleptocrati conniventi che sorreggono lo Stato russo, per convinzione o convenienza; dall’altro i rappresentanti di un sistema quasi feudale, vassalli come Ramzan Kadyrov o lo stesso Prigozhin legati fra di loro e al Capo tramite un sistema di fedeltà personale.
Questa pantomima si è violentemente rovesciata sulle operazioni militari in Ucraina, un errore che potrebbe costare caro ai russi. La sclerosi organizzativa al nocciolo di un’invasione disastrosa, senza coordinazione fra forze armate e formazioni di soldati professionisti, reclute, ceceni, sedicenti separatisti e mercenari, sta raggiungendo il proprio apice in questi giorni a Bakhmut. Il conflitto mediatico fra Wagner e le forze regolari è violentissimo, fatto di accuse reciproche e inquietanti video nel cuore della notte in cui Prigozhin grida improperi al ministro della Difesa Sergey Shoigu e al capo di stato maggiore Valerij Gerasimov.
Autosabotaggio
In un Paese in cui le istituzioni sono ridotte a un’arma nella lotta fra bande, le bordate mediatiche hanno un valore e si traducono normalmente anche in atti di sabotaggio incrociati. A inizio maggio si è consumata una pesante lotta intestina sull’allocazione delle scarse munizioni di artiglieria lungo la linea del fronte, con i vertici di Wagner che esigevano la priorità a Bakhmut rispetto ad altri settori. Oggi, i contrattacchi ucraini stanno indebolendo la posizione russa nella cittadina-simbolo della lotta per il futuro del Paese, e il comando russo ha ceduto alla pressione dell’opinione pubblica nazionalista (e forse del Cremlino) di rafforzare i fianchi della falange mercenaria a rischio di essere circondata. Nelle ultime ore pare che ciò stia avvenendo con l’invio dei paracadutisti del Vdv, una formazione che fu di élite ma che oggi è un’ombra di ciò che era nel 2022.
Alla vigilia della controffensiva russa, Mosca si vede quindi costretta a impegnare uomini e munizioni in una battaglia ormai persa.
Il comandante del Vdv, Mikhail Teplisnki, sembra per di più essere un uomo vicino a Prigozhin – l’amicizia fra i due potrebbe quindi aver pesato più del raziocinio strategico. Ciò pone un grosso punto interrogativo sulla capacità che avranno i russi di organizzare una difesa flessibile contro gli ucraini. Se la catena di comando si inceppa, non rispetta le gerarchie ed è inquinata da considerazioni politiche, allora difficilmente riuscirà a garantire sufficiente coordinamento per effettuare le azioni più basilari di un apparato difensivo: contrattacchi locali, ritirate tattiche, azioni congiunte fra unità di diversa provenienza, rafforzamento “volante” usando brigate di riserva.
I disastri militari sembrano ormai aver screditato completamente le forze armate, che annaspano per riguadagnare una qualsiasi forma di autorità di fronte al Cremlino. Il leak del Washington Post su un sospetto tentativo di scambio intavolato da Prigozhin con le forze ucraine (un ritiro da Bakhmut in cambio delle coordinate Gps delle truppe regolari russe) sicuramente indebolirà la posizione del capo mercenario e rafforzerà la mano delle forze armate, trattandosi forse di un tradimento troppo smaccato per essere tollerato. La stessa questione vale per i commenti sarcastici di Prigozhin riguardo un «vecchio nonno che pensa che tutto stia andando bene»: pur senza nominare Vladimir Putin direttamente, è la cosa che più si avvicina alla lesa maestà.
Ma mentre gli opinionisti indipendenti russi continuano a speculare che Putin sia pronto a eliminare Prigozhin alla prima occasione buona (come da ultimo Aleksandr Zhelenin su Republic.ru), l’Occidente dovrebbe sperare che Wagner rimanga nella posizione di gettare nel caos la catena di comando russa, scavalcando le gerarchie e sabotando così lo sforzo bellico di quello che sarebbe, su carta, uno degli eserciti più potenti del mondo.