Le guerre sono combattute da società, non eserciti o élite. Lo scontro armato è un atto profondamente politico, e la violenza organizzata è inevitabilmente indirizzata verso chi in una società decide su inizio e fine delle ostilità. In democrazia si tratta degli elettori, e per questo le dittature tendono a bersagliare i pilastri che sostengono la vita di una comunità.
La comunità euro-atlantica, in particolare, si basa sull’esistenza di una connessione cablata fra le due coste dell’Atlantico. Oggi, il novantacinque per cento dei dati viene trasmesso attraverso 1,3 milioni di chilometri di cavi sottomarini in giro per il mondo, fra cui dieci trilioni di dollari in transazioni finanziarie. Senza la connessione transatlantica sarebbe inconcepibile pensare a un’alleanza come la Nato, ma anche che la quotidianità del miliardo di cittadini dell’Alleanza atlantica possa continuare indisturbata.
I sabotaggi russi e l’allarme Nato
Il monito lanciato la settimana scorsa da David Cattler, il vicesegretario generale Nato responsabile per intelligence e sicurezza, riflette questa consapevolezza. Secondo Cattler ci sarebbero infatti indicazioni che la Russia starebbe mappando una serie di infrastrutture critiche sparse nella regione euro-atlantica, e in particolare sui fondali marini, per individuare potenziali obiettivi e avere una leva contro l’Occidente in caso di un conflitto aperto. Anche se grazie alle comunicazioni satellitari e la ridondanza di cavi sarebbe quasi impossibile scindere completamente Europa e America del Nord, è evidente che atti di sabotaggio ben assestati potrebbero avere effetti devastanti sulla capacità dell’Alleanza atlantica di reagire e sulla tenuta delle società occidentali: più che una paralisi totale, sarebbe come un ictus debilitante.
In effetti, non serve che l’azione russa sia completamente devastante, ma solo che infligga danni abbastanza pesanti da danneggiare la quotidianità europea e americana e intaccare la risolutezza dei Paesi dell’Alleanza in un potenziale conflitto. La guerra è una gara di volontà, dove vince chi è disposto a combattere un giorno in più rispetto al proprio nemico. La tradizione strategica russa pone questo principio al centro delle riflessioni, memore forse dello scontro titanico che ha portato alla vittoria sovietica nel secondo conflitto mondiale.
La dottrina russa di sabotaggio
Il primo obiettivo di una campagna militare è sempre quello di incrinare la determinazione dell’avversario a versare sangue e risorse nell’abisso della guerra: in Ucraina come nel 1945, Mosca è convinta di avere dalla propria un respiro molto più lungo dei propri avversari e una tolleranza per il dolore di gran lunga più alta dell’Europa. Nelle considerazioni russe, la tenuta occidentale e il supporto all’Ucraina potrebbero raggiungere il proprio apice in estate, per poi diminuire con l’avvicinarsi di un nuovo inverno di guerra.
Per questo, le infrastrutture critiche sono sempre rientrate fra gli obiettivi privilegiati delle forze armate russe. La distruzione di obiettivi critici (ribattezzata con la sigla Sopvko in russo) rientra fra le attività immaginabili da Mosca sia all’inizio di una guerra, sia nelle fasi finali di una crisi politica. In entrambi gli scenari, la Sopvko è pensata come un modo per applicare pressione all’avversario con un dispendio minimo di risorse, con la consapevolezza che l’effetto psicologico sulla popolazione civile e la classe politica supera di gran lunga il danno materiale inflitto. Si tratta, nella concezione russa, di una “risposta asimmetrica” sviluppata nel corso dei decenni per segnalare la propria volontà di condurre una lotta senza quartiere, senza rischiare l’utilizzo di armi nucleari.
Nelle considerazioni di Mosca, poter scompaginare il sistema economico avversario e dare un’impressione di spregiudicatezza rende queste infrastrutture obiettivi militari. Basti pensare alla campagna di attacchi lanciata contro le centrali e impianti elettrici in Ucraina: a prescindere da considerazioni puramente militari, i bombardamenti sono stato accompagnati da una campagna informativa volta ad amplificare ed esagerare i danni inflitti.
Nord Stream 2 e il Gugi
Queste considerazioni possono sembrare molto astratte, ma dopo il sabotaggio da parte di ignoti di Nord Stream 2 queste considerazioni sono molto più presenti nei ragionamenti strategici dell’Alleanza atlantica. È noto che la marina russa stia conducendo operazioni di ricognizione al largo del Portogallo e che ha a disposizione numerosi mezzi per effettuare tali attacchi a cavi sottomarini e infrastrutture energetiche. Il Direttorato principale della ricerca sottomarina (Gugi), parte del ministero della Difesa, è un’unità speciale ritenuta responsabile di possibili atti di sabotaggio.
Il Gugi dispone di imbarcazioni che possono rilasciare sommergibili specializzati in grado di manipolare i fondali, tagliare i cavi di comunicazione e piazzare cariche esplosive. Inoltre, le forze russe hanno accesso a palombari specializzati e sottomarini per sorvegliare i fondali, anche se la perdita del sottomarino speciale Losharik in un incendio nel 2019 ha rappresentato una significativa perdita di capacità. Ai mezzi russi si somma infine la vastità dell’Oceano Atlantico, che rende molto difficile sorvegliare con costanza centinaia di chilometri di cavi e altre infrastrutture.
La Nato ha già iniziato ad abbozzare una risposta creando una cella di coordinamento per le minacce alle infrastrutture critiche a Bruxelles, e anche gli Stati membri stanno iniziando ad addentrarsi nel tema (l’Italia lo sta facendo con un Polo nazionale della subacquea a La Spezia). Ma ci vorranno ancora parecchi mesi prima che le acque fra Europa e Nord America, tanto importanti per l’Alleanza, siano messe in sicurezza.