Soloni del libroIl caso Roccella e l’intolleranza alternata dei fan di destra e sinistra

Da una parte ci si scandalizza perché a Torino la ministra non è stata accolta con gli applausi per le sue tesi antiabortiste, dall’altra si loda la polizia morale che limita la libertà di parola. In mezzo, anzi: altrove, c’è la ragione di chi diffida degli uni e degli altri

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Mica ci voleva un genio per immaginare come si sarebbero posizionati gli schieramenti degli opposti mentecatti a proposito del “Caso Roccella”, l’ex radicale radicalizzata in involuzione Family Day che l’altro giorno, a Torino, ha subìto la contestazione di un gruppo di balordi che si è messo di mezzo per mandare in vacca la presentazione del libro della ministra.

E che doveva succedere? L’ovvio, appunto. Da destra strilli contro lo squadrismo rosso, e da sinistra la celebrazione del popolo che resiste al fascismo dilagante a Torino. La realtà (e la decenza), in mezzo: anzi altrove. Perché, per un verso, almeno per ora non esiste il diritto di un ministro a una platea composta in silenzio nella convinzione che la donna che abortisce è un’assassina e che i figli dei genitori omosessuali crescono scostumati. E perché, per altro verso, non esiste, anche se essi lo pretendono, il diritto dei manipoli democratici di trasformare il Salone del libro nella terza Camera del ddl Zan.

La verità è che il gregge affidato alle cure della madre bianca e cristiana crede sinceramente che la vittoria elettorale sia il presupposto di una restaurazione del consenso tramite decretazione Dio-Padre-Famiglia con accredito in Rai o appunto al salone torinese, mentre la mandria sinistra ritiene che ogni ambito del discorso pubblico debba essere presidiato, pena il collasso del sistema democratico, dalla sorveglianza della polizia morale antifascista che sgombera i soprammobili del presidente del Senato e controlla che i libri in commercio siano provvisti della dovuta fascetta 25 aprile.

Checché ne abbiano detto in contrario, ai destri non dava fastidio l’intendimento oggettivamente sopraffattorio di quella contestazione, ma il fatto che “l’aria nuova” di una manifestazione finalmente sottratta al giogo comunista non fosse destinataria dell’entusiasmo monopolizzante che si deve alle decisioni irrevocabili. E per quanto i sinistri abbian fatto mostra, assolvendo quegli urlatori, di appellarsi al neutro canone liberale e costituzionale secondo cui il potere deve sopportare di essere contestato, la verità è che essi proteggevano non il fatto in sé, ma soltanto l’orientamento di quei berci e, sotto sotto, l’idea che la nobiltà democratica della contestazione risiedesse nell’impresentabilità democratica di chi dopotutto si meritava l’incursione.

Due belle culture a confronto.

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