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Atenei apertiCome attrarre gli studenti stranieri nelle università italiane

È urgente rendere le università più internazionali, potenziando i corsi in lingua inglese, adattando i programmi di studio agli standard esteri e aumentando finanziamenti per le borse di studio

(Unsplash)

Tratto da Morning Future

L’Unione Europea ha nella mobilità che riguarda gli studenti universitari uno dei suoi pilastri fondamentali. Tra i programmi più significativi spicca l’Erasmus+, che ha l’obiettivo di agevolare la mobilità degli studenti all’interno dei Paesi dell’Unione. E i risultati sono positivi.

Da anni, ormai, si osserva un aumento graduale del numero di studenti che si spostano all’interno dell’Ue.

Ma qual è la situazione nel nostro Paese? Nel corso del 2020, quasi 80mila studenti italiani hanno intrapreso un percorso di studi all’estero, iscrivendosi alle università presenti all’interno dei Paesi Ocse. Tale cifra rappresenta circa il 4% degli studenti universitari iscritti in Italia, quantificazione che, in termini relativi, ci allinea ad esempio con Francia e Germania.

Tuttavia, al contempo, è altrettanto importante che l’Italia riesca a richiamare talenti da ogni angolo del mondo, come avviene in Francia e Germania, dove gli studenti stranieri rappresentano rispettivamente il 9% e l’11% del totale degli iscritti. In Italia, invece, la percentuale di studenti universitari stranieri scende sotto il 3%. Un tale divario indica che il nostro Paese non solo non riesce a trattenere, ma addirittura ad attirare, molti giovani di talento.

Secondo i dati Ocse, l’Italia, insieme alla Grecia, presenta il rapporto più basso tra studenti internazionali e studenti nazionali. In particolare, il nostro è il Paese in cui si è registrato il più forte calo del numero di studenti provenienti dall’estero, soprattutto tra il 2018 e il 2019.

Nel 2022 gli international student tra iscritti a corsi di laurea triennali, magistrali e dottorati sono stati solo 59mila, in Germania invece erano 369mila.

La scarsa attrattività degli atenei italiani viene sottolineata anche dai numeri sugli studenti Erasmus. Infatti, sebbene l’Italia sia una delle principali mete del programma ambita da diversi giovani europei, gli studenti italiani che partono con Erasmus sono molto più numerosi degli stranieri che vengono nel nostro Paese.

Ma se le università italiane sono frequentate solo da italiani, la situazione diventa ancora più preoccupante se si pensa che il nostro Paese si trova in una situazione di crisi demografica. Infatti, in un lavoro di Talents Venture, società di consulenza specializzata in istruzione universitaria, si evidenzia che il calo delle nascite, sommato ai flussi degli studenti che lasciano le aree di residenza nel Sud, rischia di creare veri e propri atenei fantasma, università che, rimaste a presidio dei territori, potrebbero essere frequentate solo da chi ci lavora.

Perché gli studenti stranieri non scelgono i nostri atenei?
Tra le varie motivazioni che spiegano il record negativo registrato dall’Italia riguardo la presenza di studenti internazionali, c’è quella che riguarda il rapporto tra la tipologia di lauree richieste all’estero e quelle erogate in Italia. Non esistono dati specifici per singoli Paesi, ma, in media, gli studenti stranieri che studiano nei Paesi appartenenti all’OCSE tendono a specializzarsi in materie STEM (Science, Technology, Engineering e Mathematics).

Tuttavia, in Italia, la percentuale di laureati in materie scientifiche è piuttosto bassa, soprattutto tra i giovani di età compresa tra i 20 e i 29 anni, dove si attesta intorno al 20%, inferiore alla media dell’Unione Europea che si aggira intorno al 27%.

Eppure, uno studio pubblicato su Nature Italy ha recentemente rivelato un dato degno di nota. Tra il 2011 e il 2020, le università americane hanno assunto quasi tremila professori che hanno conseguito il dottorato di ricerca in Italia, una cifra interessante se paragonata a quella di altri Paesi europei. Questo numero conferma, dati alla mano, l’elevata competenza di ricercatori e scienziati provenienti dagli atenei italiani, che sono tra i più richiesti e apprezzati all’estero. Ma allora, perché le nostre università sono così poco scelte dagli studenti internazionali?

Nonostante la presenza di giovani talentuosi che eccellono, le istituzioni italiane che li formano spesso vengono considerate all’estero come realtà di basso valore. Secondo la recente classifica di QS, società specializzata nel ranking accademico, l’Italia è in fondo alle classifiche di valore, al di là di alcune indiscusse eccellenze. La Sapienza di Roma, ad esempio, dove lavora il premio Nobel per la fisica 2021 Giorgio Parisi, occupa il 171esimo posto nella classifica generale. Il Politecnico di Milano, valutata come miglior ateneo italiano, occupa solamente il 139esimo posto.

Secondo Caterina La Porta e Stefano Zapperi, autori dello studio pubblicato da Nature Italy, l’anomalia evidente tra la posizione delle università italiane nelle classifiche mondiali e il loro effettivo livello di prestigio avrebbe una chiara spiegazione. Tra i criteri utilizzati per stilare le classifiche delle migliori università internazionali, ce ne sono molti in cui l’Italia si posiziona molto bene, come ad esempio i lavori pubblicati o il numero di volte in cui quei lavori vengono citati in altre pubblicazioni. Ma ce ne sono due in cui le nostre università registrano riscontri particolarmente negativi: la reputazione e l’internazionalizzazione.

Se la reputazione è una questione soggettiva che riflette la percezione del comune prestigio, rafforzata dalle classifiche stesse, l’internazionalizzazione è un criterio misurabile oggettivamente. Ed è qui che si osserva il reale tallone d’Achille dell’istruzione universitaria italiana.

Soprattutto per quanto riguarda i corsi di laurea triennale, in Italia sono poche le università che offrono programmi didattici completamente in inglese. Questa mancanza rappresenta un grosso ostacolo per l’attrazione di studenti stranieri, i quali, oltre agli impegni richiesti dagli studi universitari, difficilmente decidono di dedicarsi all’apprendimento di una nuova lingua come l’italiano, soprattutto considerando che questa è parlata da un numero limitato di persone nel mondo.

Allora sembra chiaro che, se il problema vero in Italia non sono i ricercatori che partono, ma quelli che non arrivano, è urgente rendere le università più internazionali, potenziando i corsi in lingua inglese, adattando i programmi di studio agli standard esteri e aumentando finanziamenti per le borse di studio a beneficio di studenti stranieri.

D’altronde, se uno studioso, per crescere, deve girare il mondo, entrando così in contatto con le menti migliori del suo campo, che senso ha trattenerlo o persino farlo tornare? Sarebbe meglio creare le condizioni per diventare, noi stessi, un Paese attraente dal punto di vista scientifico e accademico.

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