Dopo il golpe-soufflé tentato dal gruppo Wagner, che proprio come il piatto francese non si è risolto in due ore e quindi si è sgonfiato, è tempo di capire che ne sarà dei mercenari di Yevgeniy Prigozhin sparsi per tutto il continente africano.
La Wagner ha basi in Libia, Mali, Repubblica Centrafricana, Guinea Equatoriale, Burkina Faso, Sudan, Repubblica Democratica del Congo, Angola, Zimbabwe, Mozambico e Madagascar. Questa massiccia presenza in Africa è giustificata essenzialmente da due motivi: in alcuni Paesi il gruppo paramilitare esegue gli ordini di Vladimir Putin (eseguiva? Il ministro degli Esteri Sergey Lavrov ha dichiarato che i mercenari continueranno a operare come se nulla fosse, ma un cambio di rotta non è imprevedibile), in altri invece è proprietaria di giacimenti aurei e miniere di metalli preziosi e ha un enorme grado di autonomia da Mosca.
Non è tanto la prima, quanto la seconda attività quella che tiene in piedi il gruppo di Prigozhin. In generale, in Africa i business della Wagner sono diversificati in modo estremo. Basti pensare al caso della Repubblica Centrafricana.
Nella notte tra il 5 e il 6 marzo, il magazzino del birrificio francese Mocaf-Castel, nel sud della capitale Bangui, è stato dato alle fiamme e distrutto dai mercenari russi, che da quel giorno sono in guerra per soppiantare i francesi e ottenere di fatto il monopolio sulla produzione di birra nel Paese, spingendo il proprio marchio “Africa Ti l’Or”, che ha un suo stabilimento nel quarto arrondissement di Bangui.
In parole povere, Wagner permea ogni ambito della vita quotidiana dei cittadini, ma come fa? Come nel caso della guerra della birra, dietro le loro operazioni c’è anche un sapiente gioco di attacchi terroristici e propaganda. Dall’inizio dell’anno a Bangui sono apparsi migliaia di volantini che dicevano «con ogni acquisto di Castel, finanzi la guerra e ti uccidi. Castel=terrorismo». L’autore della campagna di marketing era Vitali Perfilev, rappresentante della Wagner nella capitale.
In generale, la visione russa è quella di annullare due secoli di influenza occidentale, puntando sul fatto che ormai nessuno, tranne loro, può più intervenire militarmente nei Paesi che furono colonie. Fare leva sul sentimento anticoloniale è sicuramente la prima arma di Wagner, che però può contare anche su mezzi molto più concreti.
L’interesse russo sul continente africano è chiaro: i mercenari massimizzano i profitti sfruttando senza ritegno i lavoratori, mettendo le mani sul mercato dell’alcool, su quello del legno, sul bestiame, sull’estrazione di minerali e metalli, sul piccolo commercio. I soldi sottratti ad alcune tra le popolazioni più povere del mondo, non senza violenze e praticamente ogni tipo di violazione dei diritti umani, servono per arricchire Prigozhin, per pagare i miliziani e per acquistare le armi che sabato abbiamo visto arrivare a duecento chilometri da Mosca.
Dunque, le parole di Lavrov mantengono un equilibrio molto precario. Non c’è alcun dubbio riguardo al fatto che la Wagner rimarrà in Africa, perché è il suo core business e perché, quale che sia il rapporto con Putin, Prigozhin non lascerà l’unica attività remunerativa che ha. Se continuerà ad avere rapporti con Mosca, allora proseguirà anche nell’opera di gestione di alcune situazioni politiche particolarmente precarie (per «gestione» si intende il metodo Wagner, ossia un modus operandi basato su stupri, violenze, omicidi di massa, incendi, rapine, paura e terrore); altrimenti potremmo assistere a una ritirata dei mercenari da Paesi come il Mali o il Burkina Faso.
In Mali le cose non stanno andando bene: Wagner fu accolta nell’entusiasmo più sfrenato dopo la cacciata dei francesi, perché i maliani pensavano che la milizia avrebbe potuto annichilire lo Stato Islamico della provincia dell’Africa occidentale (Iswap), attivo nell’area, e risolvere il problema del fondamentalismo islamico nella regione, proprio come aveva fatto in Siria qualche anno prima. In realtà, i russi hanno subito fatto accordi col nuovo governo, insediatosi nel 2021 dopo il terzo colpo di stato in nove mesi e mantengono l’equilibrio spargendo sangue quando possono, mentre Iswap non è indietreggiato di un metro.
Il caso esemplare è quello del massacro di Moura: tra il 27 e il 31 marzo del 2022 gli uomini di Wagner hanno ucciso circa cinquecento civili, sotterrandoli in una fossa comune. Due mesi prima, ad Aigbado, in Repubblica Centrafricana, i soldati di Prigozhin hanno ucciso almeno sessantacinque persone, comprese donne e bambini, sparando nella folla senza motivo e dando fuoco a una dozzina di case. A luglio 2021, nello stesso Paese, a Bongboto, hanno sparato in testa a tredici civili disarmati, gettando i cadaveri in strada solo per dimostrare che potevano farlo e che nessuno li avrebbe perseguiti per questi crimini.
Insomma, in Africa la Wagner si comporta come una cupola mafiosa, senza che nessuno possa fermarla. Le missioni degli Stati occidentali – soprattutto Europa e Stati Uniti – stanno lasciando il continente, la Russia li sta scaricando. Il mix delle due cose fornisce a Prigozhin la carta per poter agire ancor più impunemente, perché potrebbe essere del tutto indipendente da altre autorità: non che quella di Putin fin qui sia stata scrupolosa, ma se fino a ieri i mercenari hanno fatto ciò che volevano nonostante dipendessero da qualcuno, cosa faranno se domani perderanno anche questo tipo di legame?