Se il 2016 è stato l’anno della post-verità, se la deflagrazione della Brexit e l’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca hanno affermato nel discorso pubblico occidentale un modo di ragionare e di discutere in base al quale l’appello alla prova dei fatti, il riferimento alla realtà oggettiva, il richiamo alla corrispondenza tra le parole e le cose – la verità, insomma – perde ogni importanza, con l’invasione russa dell’Ucraina possiamo dire di essere entrati nell’era della post-dignità. E il dibattito seguito alla rivolta di Evgenij Prigozhin ne ha dato in questi giorni la dimostrazione definitiva.
Definiamo post-dignitoso quell’ambiente o ecosistema informativo in cui a nessuno, neanche al più preparato e al meglio intenzionato degli interlocutori, è concesso sottrarsi alla logica di un dibattito interamente incentrato sulle categorie di «specchio-riflesso» e «lui è peggio di me» (o comunque sempre e inesorabilmente ricondotto a questi termini).
C’è voluto infatti che il famigerato «cuoco di Putin» (o per meglio dire il suo «macellaio», come garbatamente precisato dall’interessato) si rivoltasse contro il suo creatore, perché gli organi del putinismo italiano, quegli stessi giornali, programmi e guitti televisivi che fino a ieri parlavano solo del battaglione Azov, accreditando la tesi di un’Ucraina in mano ai nazisti, ci spiegassero finalmente che la vera milizia nazista in campo era proprio la Wagner di Prigozhin, che il nome stesso della compagnia era un omaggio al Terzo Reich, con tutti gli ulteriori e spaventosi dettagli delle sue malefatte: cioè esattamente tutto quello che la stampa libera aveva loro ricordato fino a ieri.
Come si vede, per quanto si possa tentare di aggrapparsi con tutte le proprie forze ai dati di fatto e alla logica più elementare, è impossibile sfuggire alla spirale dello specchio-riflesso.
Se però l’accusa di avere santificato Prigozhin dopo averlo tanto criticato è il più banale degli argomenti fantoccio (ovviamente nessuno di coloro cui viene rivolta si è mai sognato di dire che Prigozhin fosse altro dal macellaio nazista che è sempre stato), più sorprendente è il secondo argomento messo in campo dalla galassia putiniana: l’accusa di irresponsabilità rivolta a chi – come ovviamente l’immancabile Nato, ma persino l’Ucraina invasa e bombardata ogni giorno – avrebbe visto con favore la possibile caduta di Putin, senza preoccuparsi delle conseguenze. E cioè della possibilità, fate bene attenzione, che la Russia precipiti nelle mani di qualche banda criminale capace di utilizzarne il temibile arsenale nucleare per i propri scopi. Il che è esattamente quello che è capitato finora, ma soprattutto è l’argomento con cui gli stessi putiniani di cui sopra ci hanno spiegato fino a ieri che bisognava sostanzialmente dare a Putin tutto quello che voleva, proprio perché aveva l’atomica e minacciava di usarla.
Insomma, così come all’inizio della guerra non bisognava inviare armi all’Ucraina perché tanto non aveva nessuna possibilità di resistere alla schiacciante superiorità militare russa, e poi invece bisognava smettere di inviargliele perché era troppo pericoloso schiacciare la Russia e umiliare Putin, perché nessuno può permettersi di mettere Vlady in un angolo, così adesso, con uguale nonchalance, dopo averci spiegato che un Putin ferito è molto più pericoloso perché, pur di salvare la faccia, sarebbe capace di usare le armi nucleari, ci spiegano che anche toglierlo di mezzo sarebbe pericolosissimo, e sapete perché? Ma certo: perché potrebbe arrivare al suo posto qualcuno capace di usare le armi nucleari, pur di salvare la faccia.
Come si vede, l’unico punto fermo, tra tanti argomenti perfettamente contraddittori (e talvolta persino autocontraddittori), è sempre lo stesso: bisogna dare a Putin tutto quel che vuole, a prescindere. E se li chiami putiniani fanno pure gli offesi.