«Quando, nel nostro Paese, la DE&I non sarà più una questione da affrontare con urgenza, come oggi accade, allora avremo raggiunto il nostro obiettivo. Ma non siamo ancora a quel punto. C’è bisogno di grande impegno». Così scrive Sergio Picarelli, presidente di The Adecco Group Italia, nella introduzione al nuovo whitepaper “Diversity, Equity & Inclusion: creare valore per il mondo del lavoro e della società” che il Gruppo ha realizzato insieme a Fondazione Adecco sullo stato della DE&I in Italia.
L’indagine
Dai dati dell’indagine, condotta su oltre 500 imprese e quasi 5mila candidati, presentati nel corso di un evento svoltosi a Milano lo scorso 19 giugno, emergono luci e ombre. Un numero crescente di aziende italiane, certo, sta effettuando investimenti importanti in attività finalizzate a favorire la diversità, l’equità, l’inclusione e la valorizzazione di ogni lavoratore. E anche l’Agenda Onu 2030 ha contribuito ad aumentare l’attenzione verso questi temi che stanno acquisendo una nuova centralità a livello politico e nell’opinione pubblica. Ma le piccole imprese ancora faticano. «Diversità, equità e inclusione sono tre valori indispensabili per la vita delle aziende», strettamente legati «al concetto di sostenibilità, che deve essere volta a offrire a tutti opportunità di crescita nel mercato del lavoro, e a quello di sviluppo sostenibile delle imprese e della società nel suo complesso», ha spiegato Claudio Soldà, CSR & Public Affairs Director di The Adecco Group Italia.
Dall’indagine emerge che oggi il 51,7% delle aziende italiane è “molto” o “abbastanza” impegnato su questo fronte. Tra gli ambiti di intervento più frequenti vi sono la parità di genere, seguita dall’attenzione alle condizioni di salute, dall’intercultura e dall’apertura nei confronti di orientamenti sessuali differenti. Particolare attenzione viene poi dedicata al principio di equità: se, infatti, il 36% delle medie imprese (50-250 dipendenti) garantisce pari risorse e opportunità di crescita professionale, il 32% delle grandi aziende si impegna a favorire un equo trattamento nei processi di selezione a candidati con background differenti. A loro volta, il 33% delle piccole si assicura che tutti i dipendenti abbiano le stesse opportunità di retribuzione a parità di competenze.
Tuttavia, quasi un’azienda su tre ammette di non organizzare alcuna iniziativa. Con una differenza enorme tra grandi e piccole imprese. Oltre la metà (54,3%) delle organizzazioni large, con più di mille dipendenti, dichiara di impegnarsi “molto”. Viceversa, la metà (50,3%) delle small asserisce di non impegnarsi affatto.
«Per favorire il cambiamento, è necessario supportare in particolare le piccole e medie imprese, che costituiscono la gran parte del tessuto produttivo italiano», ha spiegato Monica Magri, HR & Organization Director di The Adecco Group Italia. «La DE&I non si improvvisa, deve essere realmente integrata nella cultura aziendale. In tal senso è fondamentale che i leader delle organizzazioni siano d’esempio, guidati da un forte senso di responsabilità, e che tutti i livelli aziendali vengano coinvolti».
I casi virtuosi
Il whitepaper di The Adecco Group presenta anche i best case di aziende che si distinguono per una applicazione virtuosa di iniziative di DE&I, fornendo una road map che può essere d’aiuto alle imprese per muovere i primi passi nella creazione di una strategia.
Proprio la carenza di un approccio strategico verso questi temi risulta essere il tallone di Achille di molte organizzazioni nel nostro Paese.
Dall’indagine emerge infatti che meno della metà (il 41%) delle aziende intervistate ha messo a punto una strategia di DE&I, e solo il 22% ha un budget definito. Serve fare ancora passi avanti perché queste iniziative rientrino nella strategia complessiva delle aziende.
«La presenza di team di lavoro diversi genera innovazione. E per noi, che lavoriamo con la tecnologia, è essenziale creare team che siano innovativi: è una questione di business oltre che etica», ha spiegato Alessandra Miata, CSR Head di Capgemini Italia, azienda che al suo interno ha creato dei team appositi per favorire l’inclusione delle persone con disabilità (CapAbility Team), puntando sull’accomodamento ragionevole in funzione delle esigenze concrete di ciascuno. Spazi e processi sono stati dunque adattati così da consentire a tutti di accedere al lavoro, in presenza o a distanza.
Simone Lotterio, Recruitment Manager di Kiabi Italia, ha raccontato invece l’impegno dell’azienda di abbigliamento nell’inclusione di donne in situazioni di svantaggio e persone con disabilità attraverso due strumenti: il mentoring e i tirocini che aprono le strade a veri e propri percorsi di integrazione. «I team di dipendenti coinvolti in questi progetti dimostrano un senso di appartenenza superiore alla media», ha spiegato.
«Bisogna relazionarsi con tutti i livelli aziendali», ha evidenziato Doriana De Benedictis, D&I Leader di EY Europe West. «Non basta più realizzare un insieme di iniziative se dietro non c’è una progettualità che guarda a lungo termine. È fondamentale che i valori della DE&I si riflettano in tutte le attività dell’organizzazione e permeino tutte le funzioni aziendali. Bisogna lavorare internamente ed esternamente, creare un ecosistema con le altre aziende».
Nonostante i dipendenti rappresentino i principali destinatari delle attività messe in campo dalle imprese, emerge ancora un notevole gap di comunicazione e formazione. Il 67% dei lavoratori intervistati dichiara, infatti, di non essere informato circa le iniziative di DE&I attuate dalla propria azienda. Quasi otto lavoratori su dieci affermano che non viene proposta alcuna attività di formazione su questi temi.
I vantaggi della DE&I
Eppure, dalle dichiarazioni delle aziende, si evince che puntare sulla Diversity, Equity & Inclusion non è solo un dovere etico, ma anche una questione di competitività: il 94% delle imprese che mettono in campo iniziative di DE&I afferma infatti che queste apportano benefici a livello di innovazione, attraction, retention e reddittività.
Nel dettaglio, per il 35% delle imprese, tali attività hanno un impatto positivo sulla talent retention; per il 27% comportano un miglioramento dei processi decisionali e dell’innovazione attraverso lo scambio di idee, punti di vista ed esperienze; per il 13% migliorano i risultati finanziari e di reddittività. Ma non solo: secondo il 25% delle imprese, la DE&I favorisce l’attrazione dei talenti da parte delle aziende; per 1 italiano su 2 rappresenta difatti un fattore determinante nella scelta della realtà per cui lavorare.
Tuttavia, l’indagine rivela anche un dato che impone una seria riflessione sulla sfida culturale che attende il Paese: più di un italiano su cinque (22%), tra coloro che hanno sperimentato la DE&I in azienda, ritiene ancora che essa impatti negativamente l’impresa. Alla base di questa percezione negativa si celerebbe un evidente gap culturale, dettato da una scarsa consapevolezza, informazione e formazione dei cittadini sull’importanza di questa rilevante tematica. Le aziende hanno una grande responsabilità in questo salto culturale che tutto il Paese deve compiere.