I foglietti di ConteLa troppo facile inchiesta sulla gestione del Covid, regno esclusivo dei Dpcm

All’inizio della pandemia, in Italia si prendevano provvedimenti che sospendevano pressoché tutti i diritti costituzionali, nella forma di decreti personali dell’allora presidente del Consiglio. Ma non c’è niente da investigare

Lapresse

Adesso si diffonde il favore per una inchiesta sulla gestione del Covid, un’iniziativa tanto più giustificata e di più facile sbandieramento sulla scorta di qualche arresto per presunte malversazioni durante quel periodo. Sempre male. Sempre dalla parte sbagliata, per le ragioni sbagliate e per fini sbagliati. Sempre il rimedio che non rimedia a nulla.

Il dramma di quegli anni ancora così vicini stava nello sbrego allo Stato di diritto, un insulto pubblico, istituzionale, e gravissimo proprio per come manifestamente e impunitamente era perpetrato.

Per il tramite dei provvedimenti di presunto contenimento dell’epidemia erano sospesi pressoché tutti i diritti costituzionali (di circolazione, di associazione, di professione, di studio, di iniziativa economica, di culto); ed era disposto, a presidio delle violazioni, un dispositivo sanzionatorio anche di tipo penale: il tutto, nella forma di decreti personali del presidente del Consiglio che giungevano persino ad affidare ad alcuni ministri poteri di intervento in quelle materie, una specie di violazione al cubo.

Quel massacro della legalità costituzionale, che si pretendeva simultaneamente obbligato e trascurabile perché rivolto alla tutela della salute pubblica, ebbe libero corso per mesi e mesi nonostante fosse chiarissimo come quelle misure non fossero in realtà funzionali al contenimento dell’infezione e per quanto, in ogni caso, esse non potessero essere adottate in quel modo e cioè in sfrontata violazione della legge.

Fu necessaria una sentenza della Corte costituzionale, di cui per malafede o insipienza si preferì non tenere conto nel dibattito pubblico, per ritrovare finalmente dichiarate le ragioni dell’illegalità che aveva per tanto tempo governato il Paese: una decisione che faceva salvo il sistema solo da quando l’azione del governo era stata, sia pur incompiutamente, messa in riga, vale a dire con l’adozione di quelle misure per mezzo di atti normativi (il decreto legge) anziché secondo il costume precedente, cioè i foglietti con cui Sua Eccellenza Giuseppe Conte sequestrava il Paese e comminava galera e multe per gli insubordinati.

Qualche cialtrone al servizio editoriale del governo giunse a dire che la Corte costituzionale aveva in tal modo «dichiarato la legittimità dei Dpcm»: nemmeno una fesseria, ma la pura e semplice contraffazione del contenuto di quella sentenza, resa sulla rimessione di un giudice che aveva ipotizzato l’incompatibilità di quel sistema.

La Corte in realtà disse che l’incompatibilità denunciata non c’era perché il caso – riguardante un cittadino destinatario di una sanzione per la violazione dei limiti di allontanamento dal domicilio – ricadeva in un momento in cui era ormai in vigore il regime successivo: quello che, per intendersi, rattoppava le lacerazioni prodotte durante il regno esclusivo dei Dpcm e che la Corte “salvava”, diciamo così, proprio perché non si segnalava più per la somma delle violazioni pregresse. In breve, la Corte diceva che la malattia non c’era più, non che non c’era mai stata, anzi spiegava quali erano i sintomi e le cause di quella patologia sistematica: il trattamento indebito dei diritti costituzionali, organizzato da un capo del governo che ne faceva un suo maneggio personale, senza vaglio parlamentare.

Non c’è un cavolo da investigare in tutto questo, non c’è un bel niente su cui fare inchieste. C’è da riflettere sulle ragioni per cui tanti – direi tutti – sono rimasti a guardare, senza capire quanto fosse pericoloso lasciar correre quell’andazzo, a questo punto libero di riproporsi come dovuto, come necessario, come inevitabile se un’altra emergenza lo richiederà. Per durare sei mesi o qualche anno, quel che serve, sino a un’altra sentenza della Corte costituzionale che interviene a cose fatte e si limita a registrare i danni ormai arrecati.

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter