Come il passaggio del Rubicone. Così è stato percepito da gran parte dell’opinione pubblica polacca la decisione del Presidente della repubblica Andrzej Duda di porre la firma al disegno di legge «contro le influenze russe». Si tratta di un contestato provvedimento, approvato dal Parlamento pochi giorni prima, che prevede l’istituzione di commissione che avrà il compito di verificare se negli anni intercorsi dal 2007 al 2022, la politica sia stata soggetta ad ingerenze da parte della Russia.
«Una legge fortemente necessaria nel nome della trasparenza», ha sostenuto Duda nel discorso in cui ha motivato la sua decisione. Si ritiene ormai certo che in questo arco di tempo Mosca abbia cercato di influenzare il funzionamento di molti Stati, e che quindi bisogna accertare che tra questi Paesi non vi sia anche la Polonia. Di tutt’altro avviso è invece l’opposizione che vede invece nell’istituzione della commissione, uno strumento per eliminare politicamente Donald Tusk, leader di Piattaforma Civica (Po), principale partito dell’opposizione democratica, e primo ministro della Polonia dal 2007 al 2014.
La commissione, che dovrebbe essere pronta entro due settimane, sarà formata da nove membri, scelti dall’attuale Parlamento. Avrà poteri sia investigativi che giudiziari, e questo solleva forti dubbi sulla sua costituzionalità, in quanto va a operare in sfere che dovrebbero essere di competenza della magistratura. Duda ha peraltro deciso di chiedere al riguardo un parere al Tribunale Costituzionale, ma si tratta di un mero pro forma.
La commissione avrà facoltà di iniziare subito la sua attività e non c’è dubbio che il Tribunale non ostacolerà il suo lavoro. I primi risultati dovrebbero essere pronti in settembre, giusto poco prima delle elezioni autunnali in cui i polacchi saranno chiamati a eleggere il nuovo Parlamento. Chi sarà ritenuto essere stato soggette alle influenze del Cremlino sarà passibile di una serie di provvedimenti. Tra questi, l’interdizione dai pubblici uffici fino a dieci anni.
La tempistica desta forti sospetti e i timori che si tratti di un modo per condizionare lo svolgimento della tornata elettorale sono fondati. D’altra parte che il bersaglio sia Donald Tusk non è un è un mistero, tanto che il disegno di legge si è meritato l’appellativo comune di «Lex Tusk».
Una questione personale
Per capire come sia nata questa situazione bisogna andare a vedere chi è colui che ha concepito l’idea della commissione, ovvero il capo politico di Diritto e Giustizia (Pis), nonché leader morale del governo, Jarosław Kaczyński. Quella tra i due è molto più di una rivalità politica, è una questione personale che ruota intorno a un evento cardine della storia polacca recente: il disastro di Smolensk.
Il 10 aprile 2010 l’aereo presidenziale che portava a bordo l’allora presidente Lech Kaczyński, gemello di Jarosław, e altre novantacinque persone, si schiantò nella foresta vicino alla città russa, destinazione finale del volo. La delegazione si stava recando alle commemorazioni ufficiali per il settantesimo anniversario del massacro di Katyn, l’eccidio di massa perpetrato nel 1940 dall’Nkvd nei confronti di circa ventiduemila tra ufficiali, politici, giornalisti, professori e industriali polacchi.
Un’inchiesta varata da Tusk, all’epoca primo ministro, stabilì che quello di Smolensk era stato un tragico incidente causato dall’imperizia dei piloti e dalle avverse condizioni meteorologiche. La controinchiesta voluta fortemente da Jaroslaw Kaczyński, dopo l’insediamento di PiS al governo, ha dato invece esito diverso.
Un anno fa il capo della commissione Antoni Macierewicz, ha pubblicato il risultato dell’indagine secondo cui, prima dello schianto all’interno del velivolo si sarebbero verificate due esplosioni. Sebbene non esistano prove materiali a supporto di questa tesi, secondo Kaczyński è chiaro che dietro la morte del fratello ci sia la mano di Mosca, e che Tusk abbia in qualche modo contribuito a insabbiare la vicenda.
Un’altra accusa che viene mossa a Tusk è quella di aver agito contro gli interessi del suo Paese nelle vicende che portarono alla costruzione del gasdotto Nord Stream 2. Nonostante questi si sia pubblicamente espresso contro il progetto, sia al tempo in cui ricopriva cariche istituzionali in Polonia, sia nel periodo in cui svolgeva l’incarico di Presidente del Consiglio europeo, Diritto e Giustizia sostiene che non abbia fatto tutto ciò che era in suo potere per ostacolarne la realizzazione.
Tra i vari epiteti addossati a Tusk, c’è anche quello di essere «uomo di Berlino», e di aver operato nell’interesse della Germania quando lavorava a Bruxelles. C’è da dire che le accuse di influenze russe valgono anche in senso contrario. Il governo Tusk entrò in una crisi irreversibile tra il 2013 e il 2014 quando il settimanale Wprost pubblicò gli stralci di intercettazioni che rivelavano un certo malaffare tra vari esponenti dell’esecutivo.
Tusk ritiene che quelle intercettazioni, ottenute illegalmente attraverso dei microfoni applicati sotto i tavoli di un ristorante nel centro di Varsavia, furono volute dal Cremlino, con la complicità proprio di Diritto e Giustizia. L’architetto dell’operazione era stato l’imprenditore Marek Falenta, che per quei fatti era stato incriminato e condannato, uomo considerato vicino al partito di Kaczyński,
Le conseguenze
Alla fine del lungo percorso di accusa e controaccuse resta però il fatto che la politica polacca ora si trovi a un punto critico. I media più vicini all’opposizione parlano di «colpo di stato» e di «deriva putiniana». Il dipartimento di Stato americano ha espresso preoccupazione per questa legge, e lo stesso è accaduto a livello europeo.
Il commissario alla giustizia Didier Reynders si è detto preoccupato per un provvedimento «che conferisce a un organo amministrativo poteri che potrebbero essere utilizzati per privare le persone di cariche pubbliche». Sullo sfondo c’è un lungo percorso di scontri tra le attuali autorità di Varsavia e Bruxelles sul rispetto dello stato di diritto. Questa legge rischia di diventare un nuovo capitolo di questa estenuante saga.
Internamente quello voluto da Kaczyński e avvallato da Duda, sembra essere un azzardo politico. I risvolti di una mossa del genere in un Paese politicamente spaccato a metà, e che nel suo vissuto ha una lacerante e dolorosa storia di abusi da parte delle autorità rischiano di essere imprevedibili.
L’attenzione va ora a quello che accadrà domenica 4 giugno, data in cui Donald Tusk, ancor prima della promulgazione della legge, aveva convocato una grande marcia per le strade di Varsavia. Doveva trattarsi di una manifestazione di partito, ma ora rischia di trasformarsi in qualcosa di più. Gli organizzatori prevedono l’arrivo di trecentomila persone da tutto il Paese.
Szymon Hołownia e Władysław Marcin Kosiniak-Kamysz, leader rispettivamente di Polska 2050 e del PSL, due partiti del campo dell’opposizione, hanno annunciato la loro partecipazione. Fino a qualche giorno fa sarebbe stato impensabile visti i rapporti non ottimali con Tusk. Ora però, la situazione è cambiata. In ballo c’è la tenuta democratica di un Paese, che dopo otto anni di pericoloso sbandamento rischia di deragliare definitivamente sulla strada dell’autocrazia.