La sottile linea rossaL’Ue non invierà jet europei all’Ucraina (per ora)

Nonostante alcune timide aperture, rimane un tabù la fornitura di aerei da combattimento a Kyjiv. Intanto l’Ungheria blocca una nuova tranche di aiuti militari

AP/Lapresse

Il Consiglio dei ministri degli Esteri e della Difesa dell’Unione europea si è chiuso senza sussulti: una serie di misure per rinforzare la cybersicurezza dell’Unione e una scontata approvazione dell’ingresso della Danimarca nella Cooperazione strutturata permanente dell’Unione, che ora conta ventisei membri, tutti tranne Malta.

Nulla di memorabile, tranne la gaffe dell’Alto rappresentante dell’Unione europea per gli Affari esteri Josep Borrell, che prima confonde Belgrado con Belgorod, e poi si dice ignaro di quanto sta accadendo nella città della Russia occidentale, teatro di raid probabilmente diretti dall’intelligence ucraina.

Missili e munizioni sì, jet (per ora) no
Proprio sul punto cruciale della discussione, gli aiuti militari al governo di Kyjiv, arrivano segnali contrastanti.

Da un lato, Borrell rivendica la consegna di duecentomila munizioni d’artiglieria e milletrecento missili: è il frutto della prima parte dell’accordo raggiunto a fine marzo, secondo cui i Paesi dell’Unione forniscono all’Ucraina le armi già presenti nei propri magazzini, ottenendo poi un rimborso dallo European Peace Facility (Epf), lo strumento europeo che finanzia le operazioni militari in Paesi terzi.

Lo stesso piano prevede un miliardo di euro per pagare acquisti congiunti di munizioni da 155 millimetri, destinate all’esercito ucraino. I tempi di consegna in questo caso sono molto più lunghi (tra sei e otto mesi secondo le stime), ma Borrell ha specificato che otto Paesi hanno già confermato l’intenzione di comprare i proiettili tramite l’Agenzia europea per la difesa europea e altri progetti nazionali di acquisto sono in corso in Francia e Germania.

Non si è toccato però il tema più caldo delle ultime settimane: la fornitura di aerei da combattimento, su cui spetta ai singoli Stati membri, e non all’Ue decidere. Come nel caso delle consegne di carri armati, però, la discussione a livello comunitario è fondamentale per definire le strategie, informare gli alleati ed esercitare pressione sui governi più riluttanti.

La decisione degli Stati Uniti di addestrare piloti ucraini alla guida degli F-16 potrebbe essere un’apertura alla possibilità di vedere i jet dei Paesi occidentali impiegati nel conflitto. Alcuni Paesi europei si sono detti disponibili a collaborare nel training, ma rimanendo guardinghi sull’eventualità di una fornitura in futuro.

Il ministro degli esteri olandese Wopke Hoekstra ha insistito sull’importanza delle attività di addestramento, mentre il primo ministro belga Alexander de Croo aveva già spiegato di non avere mezzi a disposizione, tranne quelli necessari per la difesa del Paese.

Persino la Polonia, che aveva consegnato all’Ucraina i suoi MiG-29 di fabbricazione sovietica, appare restia a fornire i propri velivoli più moderni. La sensazione, confermata da vari esperti al quotidiano Politico, è che nessuno dei Paesi dell’Unione si muoverà prima di una decisione in tal senso da parte degli Stati Uniti.

La prospettiva, ancora incerta, sembra comunque già essere presa in seria considerazione in Russia: il vice-ministro degli Esteri di Mosca Alexander Grushko l’ha definita un «rischio colossale» per gli Stati occidentali, forse nella speranza di scoraggiarli a prendere l’iniziativa.

L’Ungheria si mette di traverso
Una buona notizia per il Cremlino è invece l’atteggiamento dell’Ungheria, che ancora una volta rallenta il processo decisionale europeo sulla guerra in Ucraina.

Nella prima giornata del Consiglio degli Esteri, il 22 maggio, governo di Budapest si è opposto a stanziare una nuova tranche da cinquecento milioni di euro dall’Epf, tramite cui sono stati attinti finora 5,6 miliardi per gli aiuti militari a Kyjiv.

L’accordo è sfumato a causa dell’inclusione della più grande banca ungherese, Otp Bank, in un elenco di «sponsor internazionali della guerra» stilato dalle autorità ucraine.

Nella lista compaiono un centinaio di individui e 26 aziende o entità, tra cui le italiane Danieli e Buzzi Unicem. Si tratta, in pratica, di una blacklist che invita al boicottaggio di imprese considerate fiancheggiatrici dell’invasione, perché con le loro attività o i loro affari in Russia contribuiscono indirettamente ad alimentare la macchina da guerra del Cremlino.

Chi figura nella lista rischia un significativo danno d’immagine e il governo ungherese non tollera che l’istituto di credito principale del Paese venga coinvolto. La conseguenza è il blocco della nuova tranche dell’Epf.

«Ci opporremo al pagamento di un nuovo mezzo miliardo di euro dallo European Peace Facility, fintanto che l’Ucraina manterrà la banca Otp nell’elenco degli sponsor internazionali della guerra», ha detto espressamente il ministro degli Esteri di Budapest Péter Szijjártó.

Anche se teoricamente le due questioni non sono collegate, nella pratica l’Ungheria adotterà probabilmente una strategia consolidata: far valere il suo diritto di veto (tutte le decisioni di politica estera vanno prese all’unanimità) per ottenere qualcosa su altri tavoli negoziali.

Una tattica spesso efficace, ma ancor più pericolosa quando le decisioni da prendere a livello comunitario influenzano le sorti di una guerra in Europa.

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