Bundestag sovraffollatoI problemi della riforma elettorale in Germania

Il governo vuole modificare un sistema rimasto invariato dal 1949, ma non ha coinvolto l’opposizione nella scrittura della legge. La sinistra della Linke e la Csu bavarese rischiano di venire penalizzati, o restare fuori dal Parlamento

L'aula del Bundestag
AP Photo/Markus Schreiber

I sistemi elettorali sono un po’ come la nazionale di calcio: sessanta milioni di commissari tecnici di qua, sessanta milioni di modelli elettorali da ciascuno variamente preferiti di là. Che ognuno abbia la sua idea è in questa materia tutt’altro che patologico, perché questa varietà ha a che fare con il nucleo più intimo di un sistema elettorale, cioè la sua funzione. Se nelle democrazie ciascun parlamentare è chiamato a rappresentare, anche singolarmente preso, non solo i suoi concreti elettori, ma l’intero Paese, allora la formula che traduce in seggi la pluralità di opinioni e convincimenti politici nella società è fondamentale per far sì che il Parlamento nel suo insieme sia uno specchio fedele del popolo elettore di cui è l’espressione.

E visto che ci sono, tendenzialmente, tante opinioni politiche quante persone, è logico che ciascuno si auspichi un sistema che riesca a rappresentarlo con successo. Sessanta milioni di sistemi elettorali preferiti, appunto.

Questo discorso vale, ed è ovvio, anche per la Germania, i cui abitanti sono però ottantatré milioni e che finora era stata caratterizzata a livello nazionale da un sistema elettorale rimasto sostanzialmente invariato dal 1949, con una stabilità invidiata. Fino ad una riforma approvata in queste settimane.

Facciamo però un passo indietro. Il sistema in vigore fino ad ora si lascia spiegare in modo non troppo difficile. Fra tre minuti di lettura lo avrete capito.

Ciascun elettore riceveva finora una scheda con due voti, fra loro indipendenti. Col primo voto poteva scegliere un candidato di collegio elettorale, col secondo voto un partito nel suo complesso attraverso liste. Il candidato che in un collegio – il primo voto! – prendeva anche solo un voto più degli altri era eletto al Bundestag, il Parlamento federale. Decisivo per la composizione di quest’ultimo era però il secondo voto, con un principio pienamente proporzionale.

L’elemento di complicazione – dibattuto da anni e che ha portato alla riforma odierna – era la possibilità che un partito vincesse più collegi dei seggi che gli sarebbero spettati in proporzione al totale: in questo caso i collegi in sovrappiù non venivano toccati poiché vinti a tutti gli effetti, ma agli altri partiti venivano assegnati tanti ulteriori seggi, quanti erano necessari perché la proporzione generale fosse rispettata.

Altri tre dettagli importanti. Il primo è la soglia di sbarramento: cinque per cento nazionale, altrimenti nessun accesso al Bundestag. Il secondo è un’eccezione rilevantissima alla soglia di sbarramento: i candidati vittoriosi in un collegio erano eletti in tutti i casi, anche se il proprio partito nel complesso rimaneva sotto il cinque per cento, e se un partito riusciva a vincere in almeno tre collegi territoriali veniva “liberato” dalla soglia di sbarramento e partecipava al riparto di seggi (anche, mettiamo, con il 4,9 per cento).

Una misura, quest’ultima, chiaramente pensata per distinguere fra partiti “piccoli” e partiti regionali o comunque con un consenso territorialmente concentrato. Il terzo ed ultimo dettaglio importate è il ruolo dei e nei partiti in Germania: i candidati territoriali di collegio devono essere – per legge! – scelti dagli iscritti in loco del partito, senza che Berlino abbia voce in capitolo, e non sono ammesse né coalizioni, né listoni, né altre forme di collegamento. Ciascun partito compete per sé ed al proprio interno è obbligato a garantire democrazia interna.

Il lettore potrà ora magari pensare che questo sia il migliore dei mondi possibili. Non è esattamente così. Perché il meccanismo dei seggi “in sovrappiù” e di quelli “ulteriori” per compensarli porta – è logico – ad una crescita del numero complessivo di parlamentari. Più i partiti che un tempo si sarebbero detti di massa calano nei consensi complessivi, rimanendo però relativamente i primi nei vari territori, più il numero dei seggi “in sovrappiù” aumenta, portando con sé un aumento dei seggi assegnati ulteriormente “in compensazione” e quindi ad un ingrandimento del Parlamento.

E che i nostri siano tempi in cui la riduzione, e non l’aumento, del numero di parlamentari va un po’ per la maggiore lo sappiamo tutti. Così il bel sistema tedesco è finito sotto pressione dell’opinione pubblica e nei partiti, aprendo la gara ad una riforma che potesse fregiarsi del merito di aver finalmente ridotto il numero dei parlamentari. Storia già sentita in Italia, no?

Dopo un decennio buono di riforme elettorali discusse, fallite di fronte ad un blocco pressoché sordo delle democristiane Cdu e Csu, l’attuale coalizione di governo ha deciso di fare sul serio e, dopo un iter parlamentare i cui dettagli qui possiamo risparmiarci, ha preso in mano l’accetta per sfrondare un Bundestag nel frattempo arrivato a 736 seggi anziché i 598 teoricamente previsti.

L’idea di base era onesta e semplice: eliminare tanto i seggi “in sovrappiù” quanto quelli di compensazione, portando così il Parlamento federale ad una grandezza fissa ed un ripartito equamente proporzionato. Un proposito benemerito, che però alla prova dei fatti ha svelato un atteggiamento tutt’altro che imparziale.

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