Grande il risalto sui giornali israeliani delle rivelazioni del New York Times sul ritorno di iniziativa sulla scena del Medio Oriente dell’amministrazione Biden dopo due anni di una sostanziale assenza che ha favorito la penetrazione della Cina – che ha mediato la normalizzazione delle relazioni tra Riad e Teheran – e della Russia. Secondo il quotidiano newyorkese infatti il segretario di Stato Antony Blinken durante il suo viaggio in Arabia Saudita a inizio mese ha lungamente discusso con Mohammed bin Salman un interessante scambio garantito dagli Stati Uniti.
In cambio di un abbandono del Piano Fahd, il riconoscimento saudita e arabo di Israele solo dopo il suo ritiro completo dalla Cisgiordania, Washington fornirebbe a Riad non solo tutta la tecnologia per il raffinamento dell’uranio per scopi civili e centrali nucleari ma anche armamenti, droni e aerei, di ultima generazione.
Di fatto, il completamento naturale degli Accordi di Abramo favoriti da Donald Trump nel 2020 che hanno cambiato il volto della questione israelo palestinese col riconoscimento formale di Israele da parte degli Emirati Arabi Uniti, del Bahrein, del Sudan e del Marocco. Nazioni che da allora hanno intessuto una fittissima rete di accordi commerciali e finanziari con Israele in vista di una nuova, inedita e enorme area di scambio economico che muta tutti gli assetti del Medio Oriente.
Accordi favoriti sottobanco da Mohammed bin Salman, ma non siglati dall’Arabia Saudita. Sigla che avrebbe un significato storico, ma anche che provocherebbe forti tensioni interne al regno per ragioni religiose e politiche. Sigla che comporterebbe l’isolamento definitivo dal campo arabo – che sinora l’ha sorretto, sempre più malvolentieri- della sterile e corrotta leadership palestinese di Abu Mazen (che infatti è volato a Pechino alla ricerca di nuove sponde solidali).
Joe Biden ha subito apprezzato e riconosciuto gli Accordi di Abramo, ma sinora aveva giudicato l’area non prioritaria per la sua amministrazione lasciando ampio spazio, come si è detto, a una penetrazione diplomatica e di potenza della Cina e della Russia. Un’assenza pesante soprattutto alla luce del terremoto e nella scomposizione delle relazioni internazionali provocato dalla invasione russa dell’Ucraina.
Ora il presidente americano tenta una mossa d’effetto sulla scena internazionale che superi quella a suo tempo messa a segno da Donald Trump. Questo, anche perché scotta ancora a Washington l’accordo per una centrale nucleare siglato nel 2015 dall’Egitto con la Russia, un precedente che dimostra che anche i più fedeli alleati arabi dell’America sino a ieri sono ormai pronti a relazioni strategiche con Vladimir Putin. Una prospettiva intollerabile per Washington nel caso di una Arabia Saudita, oggi con Mohammed bin Salman baricentro come non mai dell’intero mondo arabo, che peraltro, come tutti i paesi arabi, non attua assolutamente le sanzioni occidentali contro la Russia.
Questa trattativa di rilevanza strategica (che ribalta la posizione iniziale di Joe Biden che appena eletto aveva definito Mohammed bin Salman «un paria» incolpandolo dell’assassinio del dissidente saudita Jamal Khashoggi) si sviluppa ovviamente sotto traccia e in maniera più che riservata e lo stesso presidente statunitense, secondo il New York Times, ne avrebbe informato il premier israeliano Bibi Netanyhau. Se andasse in porto, se l’Arabia Saudita avesse a disposizione la migliore tecnologia nucleare, sia pure per usi civili, e soprattutto se riconoscesse formalmente Israele il Medio Oriente cambierebbe volto.