The Rainbow Book Il grande ritorno del libro che rappresentò il culto psichedelico del Sessantotto

Il testo, nato in California nel 1975, presentava il colore come uno strumento d’avanguardia e di conoscenza. Oggi inizia la sua seconda vita e diventa il pretesto per una nuova mostra al Mudec di Milano dal titolo “Rainbow. Colori e meraviglie fra miti, arte e scienza”, visitabile fino al 2 luglio 2023

The Rainbow Book, copertina alta, courtesy of MUDEC

Il 1968 lascia un’eredità che tutte le generazioni successive, compresa la nostra, ha acquisito e incorporato. Da quello storico anno di passaggio in poi si affollano i tributi, volontari o involontari, a un immaginario che per la sua potenza e fantasia non è mai più stato sostituito. E come stupirsene? Immaginate di trovarvi a Berkeley, in California, all’apice delle proteste studentesche: i capelli lunghi dei figli dei fiori che quasi sfioravano i bacini, i loro piedi scalzi, l’improvvisa presa di coscienza che ciascuno di noi è un individuo e come tale è autonomo, teso alla ricerca di un destino e contiene un’identità da rivendicare.

È un catalizzatore di pulsioni che si inserisce velocemente, a livello psicologico, sociale, politico e perfino estetico e grafico. Ancora oggi, è là che torniamo con la mente, con la memoria, quando ci viene chiesto di risalire a un momento utopico della seconda metà del Novecento – e in qualche caso perfino del Novecento tutto. I film, le storie, le narrazioni di quella fase si snodano e si accavallano rendendolo mitico, epico. Tra le decine di rappresentazioni e testimonianze di ciò che è stato il 1968 ce n’è una che più di altre ne ha intuito, racchiuso ed esposto il simbolo, l’archetipo, l’idea dominante: l’arcobaleno.

Si tratta di un libro, uscito nel 1975 nei pressi di Berkeley, in occasione della mostra The Rainbow Show di San Francisco, al Fine Arts Museum. Si intitola, non a caso, The Rainbow Book e diventa ben presto un testo di culto. L’arcobaleno è infatti sinonimo di libertà, di colore, di vivacità. Sorge nel cielo dopo un acquazzone, è la quiete dopo la tempesta, la rinascita dopo la fatica, la lotta, gli scompensi. È elemento di letizia, di gioia, di pace, accostabile non solo ai paesaggi naturali, al rapporto con la terra e con il cielo, ma anche agli stati ipnotici che subentrano durante lo stordimento, l’allucinazione dell’assunzione di eccitanti, erbe magiche o droghe. Il 1968 è stato anche questo, è stato tutto questo.

courtesy of MUDEC

Se oggi ne avviene la ristampa è perché da mero catalogo di un’esibizione artistica il libro è diventato materiale d’archivio, una macchina del tempo in grado di trasportarci là, dove una parte di noi è venuta inconfondibilmente e irriducibilmente alla luce. E fornisce l’occasione per una nuova mostra, al Museo delle culture di Milano stavolta, il MUDEC: Rainbow. Colori e meraviglie fra miti, arti e scienza, questo è il nome, questo il biglietto da visita di un percorso tortuoso, psichedelico, esoterico.

E quale partner migliore di AVANT TOI, un marchio di abbigliamento che in realtà sarebbe riduttivo definire tale, dato che i colori accesi dell’arcobaleno diventano un pretesto per performance, germinazioni creative, intuizioni inconsce? Ogni capo di maglieria è una tela bianca su cui il direttore creativo Mirko Ghignone sfoga un estro pittorico istintivo, che alla cultura radicale e alternativa della fine degli anni Sessanta sarebbe immensamente piaciuto, e che è anche il motivo per cui nessun abito è uguale a un altro. I cachemire, le sete sono pezzi unici, veri e propri guazzabugli di vernici, scale cromatiche, abbinamenti fisici e metafisici.

Il colore è perciò lo strumento di nuove espressioni, di nuovi linguaggi, di visioni. Lo sapevano bene tutti coloro che hanno cercato di coglierlo, di riprodurlo, di trascenderlo: Giotto, Bosch, Van der Weyden, Dürer, Rubens, Blake, Turner, l’arte sacra del Tibet. Ma The Rainbow Book prevede anche poesie di Virgilio, Dante, Blake, Wordsworth, Keats. E le prime, inevitabili agiografie legate al mito e alla religione. Lo spettro delle tinte, delle sfumature e delle tonalità è manifestazione d’identità, il definitivo, ultimo tentativo di comunicare quando si esauriscono le potenzialità e le risorse verbali, è il punto d’incontro tra il proibito, il profano, la licenziosità, la lussuria, e la trascendenza dell’infinito, dunque di dio.

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