Il grido d’allarme arriva dai social dell’azienda agricola La Distesa, che descrive in un post accorato la sua sconfitta per il raccolto di quest’anno, distrutto per la maggior parte dalla peronospora.
“L’OBBLIGO DELLA VERITA”
La situazione dei vigneti qui a La Distesa è piuttosto drammatica. In venticinque anni che facciamo questo lavoro non avevamo mai visto nulla di simile. Infezioni di peronospora in grado di distruggere, ad oggi, fra il 70 e l’80% della produzione in vigneti “vocati” sono una roba che non ci saremmo mai aspettati di vedere.
Abbiamo gestito annate molto problematiche da questo punto di vista come la 2010, la 2013, la 2014, la 2018, la 2019 e pensavo di poter affrontare anche questo andamento stagionale estremo… Questo maggio è stato il più piovoso dal 1961 ed ha continuato a piovere anche a giugno… Semplicemente non ce l’ho fatta. È un fallimento piuttosto totale.
La virulenza di questo attacco deve far riflettere. Dopo due anni estremamente siccitosi in cui il fungo patogeno non si era visto è come se ci sia stata una reazione esponenziale alle enormi piogge (cominciate già in aprile). Evidentemente il nostro modo di lavorare, il tipo di conduzione agronomica dei suoli, i livelli estremamente bassi di rame utilizzati, tutto ciò è incompatibile con andamenti stagionali di questo tipo. Con questo clima.”
Quando a fare questa dichiarazione, però, è uno dei più ferventi fautori del non interventismo in agricoltura, che scrive libri e divulga da 25 anni pratiche biologiche per la lavorazione della vigna, la polemica scatta immediata, forse anche per il luogo scelto per fare la dichiarazione di “resa” alla peronospora.
Che cos’è la peronospora?
Ma partiamo da qui, da questa malattia della vigna, un fungo patogeno che insieme all’oidio è il principale flagello della vite, e che procura ingenti danni vegetativi alle piante, rendendole poco efficienti in termini di fotosintesi quando attaccano le foglie e quindi “indeboliscono“ la pianta, ma anche poco produttive nel caso di attacco sull’uva. La peronospora prospera negli ambienti umidi, e dilaga proprio quest’anno, dopo gli ultimi mesi piovosissimi che hanno caratterizzato la primavera e l’inizio dell’estate. Tantissimi i vigneti compromessi, alcuni dei quali, come per esempio quello di Corrado Dottori, resi sostanzialmente inutili per la produzione di uva.
Ci si può difendere?
Ci si difende da questa malattia, in maniera convenzionale, con l’utilizzo del rame e dei prodotti sistemici, e in agricoltura biologica con l’utilizzo del rame e di alcuni estratti di essenze vegetali che fungono da corroboranti e coadiuvanti all’effetto del rame stesso. La grossa differenza fra biologici e convenzionali, che comunque quest’anno hanno avuto anch’essi dei bei grattacapi, sta proprio nell’impossibilità dei “biologici” di utilizzare prodotti sistemici.
Per il regime biologico, infatti, il rame risulta essere l’unico elemento concesso. Il rame, però, ha il difetto di lavorare solo sulla superficie fogliare: è infatti un cosiddetto prodotto fitosanitario di contatto, e di essere “lavato via” dalla foglia ogni qualvolta piove (in realtà va in “accumulo” sulle foglie e anche nell’ambiente, ne parleremo in dettaglio). Se piove spesso, quasi ogni giorno, il rame per essere davvero efficace deve essere irrorato dopo ogni pioggia importante, a seconda dei formulati infatti questo metallo ha diverse dilavabilità e inoltre la vite ha in queste fasi degli accrescimenti molto veloci ed è quindi fondamentale “coprire” con il prodotto anche le nuove foglie appena cresciute. Cosa comporta questa pratica? Significa usare molto rame, quindi tanto prodotto: ricordiamo che è un metallo pesante, che finisce necessariamente nel terreno e lì rimane. Ma significa anche utilizzare molto gasolio per movimentare i trattori e le macchine usate per distribuirlo sulle vigne. Il passaggio ripetuto delle gomme negli interfila compatta molto il terreno, eliminando o riducendo in maniera sostanziale l’aerazione e la struttura naturale dello stesso, andando ad indebolire o compromettere il microbiota del suolo, che rende vivi e pulsanti i primi strati del terreno, rendendolo vitale e capace di comunicare e sostenere la pianta, ma anche di favorire la percolazione, infiltrazione e immagazzinamento della pioggia nel terreno, evitando così lo scivolamento e ruscellamento superficiale che causa erosione e nei casi più gravi le alluvioni. Altro problema inoltre è dato dal fatto che in alcuni vigneti la possibilità di procedure ai trattamenti fitosanitari, siano essi biologici o no, soprattutto dopo numerosi giorni di pioggia risulta impossibile a causa della conformazione del terreno (forti o fortissime pendenze), della sua composizione, se pensiamo a terreni ricchissimi di argilla, o a suoli non drenanti e lavorati (non inerbiti), immaginiamo subito quanto sia impossibile percorrerli con mezzi a ruote ed in alcuni casi anche cingoli subito dopo la pioggia, che arriva ripetutamente con pochissime finestre di bel tempo così da non permetterne l’asciugatura anche parziale. Per questo la pratica di inerbimento, magari a filari alterni, in futuro andrà rivista anche nelle zone più siccitose, dove spesso non viene praticata per evitare competizione radicale e soprattuto idrica fra vite ed essenze erbacee. In realtà, un inerbimento accorto con le giuste essenze, nei tempi e gestioni corrette nel medio/lungo periodo, porta a grossi vantaggi sia di tipo idrogeologico che gestionale, a livello di meccanizzazione (ma questo rimane un argomento da trattare in dettaglio in un prossimo approfondimento, ndr).
Infine, se per gli agricoltori convenzionali sono vere molte delle problematiche di cui sopra, dobbiamo considerare che un aiuto arriva sicuramente dalla chimica, infatti i prodotti sistemici permettono a differenza del rame di allungare gli intervalli fra i trattamenti fitosanitari e di essere più flessibili e meno tempestivi. Alcuni di questi prodotti non agiscono solo per contatto/accumulo sugli organi vegetativi, ma agiscono dall’interno, hanno infatti la capacità di entrare all’interno della pianta ed essere traslocati dal flusso linfatico in ogni organo della vite stessa, diventando così non dilavabili sotto la pioggia, proteggendo e “coprendo” anche le nuove foglie e le parti appena cresciute e andando a perdere efficacia quando la molecola stessa si “decompone”, quasi sempre lasciando dei sottoprodotti già presenti in natura e quindi innocui per la pianta e per il consumatore stesso. Il rovescio della medaglia ovviamente c’é, infatti il meccanismo di azione di questi prodotti è talmente specifico a livello del patogeno che vanno a colpire da renderli piuttosto soggetti a fenomeni di resistenza. Se usati troppo spesso e in modalità scorrette, infatti, portano il patogeno ad adattarsi e sviluppare fenomeni di sopravvivenza al prodotto stesso, un po’ quello che sta succedendo agli antibiotici per uso umano nei confronti di molti patogeni!
E quindi?
Indipendentemente dalla conduzione agronomica scelta, sia essa biologica o convenzionale, se sei un accorto agricoltore e sai come muoverti, puoi riuscire anche in annate complicate a gestire situazioni molto complesse. Ovviamente l’errore o la semplice sfortuna possono sempre essere dietro l’angolo… Meglio quindi abbandonare questa scelta o insistere verso una direzione che – almeno idealmente – dovrebbe garantire una salvaguardia migliore per i terreni coltivati? Il dubbio viene, anche e soprattutto rispetto alla quantità di trattamenti necessari per mantenere le piante attive. Il mio credo rimane sempre lo stesso: conoscenza, professionalità, flessibilità e unione delle due e più “filosofie” saranno probabilmente la strada per il futuro.