Sono passati più di trent’anni da quando, negli Stati Uniti, si cominciò a parlare di Diversity nel mondo del lavoro. In particolare, l’aumento delle donne lavoratrici e una società sempre più multietnica fecero emergere la necessità di avviare una profonda riflessione sul tema e di adottare politiche di valorizzazione della diversità. Con gli anni, il concetto stesso di diversità si è allargato, arrivando a includere fattori quali l’età, le condizioni di salute, l’orientamento sessuale. E, soprattutto, al termine Diversity ne sono stati affiancati altri: Equity e Inclusion, a sottolineare che riconoscere e accogliere una differenza non è sufficiente, se non si promuovono azioni che consentono condizioni di equità e se non si attua una reale inclusione volta a valorizzare l’unicità di ciascuno.
In questi trent’anni la consapevolezza della centralità della Diversity, Equity & Inclusion è cresciuta al punto che l’Onu, nella sua Agenda 2030, ha inserito obiettivi specifici volti a promuovere questo tema.
Ma, spostando lo sguardo su quello che è lo stato dell’arte della DE&I nel nostro Paese e, nello specifico, nel mercato del lavoro, quale scenario osserviamo? Il nostro Gruppo ha provato a rispondere a questa domanda con una ricerca che ha indagato sia il punto di vista delle aziende che quello dei lavoratori.
Emerge un panorama caratterizzato da luci e ombre. Diversità, Equità e Inclusione sono sicuramente termini entrati nel lessico aziendale; complessivamente, aumentano le imprese che mettono in atto iniziative di DE&I (sono il 70% di quelle intervistate) e quasi la totalità di queste riconosce l’impatto positivo che tali iniziative possono esercitare a livello di attraction e retention dei talenti, di innovazione, ma anche di redditività.
Nonostante ciò, meno della metà delle aziende dichiara di avere una strategia specifica di DE&I e solo il 22% afferma di avere un budget dedicato. Fanalino di coda, in tal senso, sono le realtà medie e piccole, che costituiscono gran parte del tessuto produttivo italiano.
È dunque fondamentale fare un deciso passo in avanti: bisogna trasformare in azioni le affermazioni di principio. È necessario delineare strategie di intervento che tengano conto delle molte sfaccettature della diversità e, soprattutto, serve investire anche economicamente su questi aspetti.
Bisogna, poi, far sì che tutti i collaboratori in azienda siano consapevoli e coinvolti nelle iniziative di DE&I. Su questo fronte c’è ancora molto da fare, se pensiamo che il 67% dei lavoratori che abbiamo intervistato afferma di non essere a conoscenza delle attività organizzate dalla propria azienda. È necessario agire con urgenza.
Perché se è vero che sostenere e promuovere la DE&I può offrire sicuramente un vantaggio competitivo, è altrettanto vero che non farlo diventerà sempre di più un rischio. Basti pensare che il 49% dei candidati intervistati, soprattutto i più giovani e le donne, affermano che la presenza di attività di Diversity, Equity & Inclusion incide significativamente nella decisione di lavorare o meno per un’azienda. Le nuove generazioni che si affacciano al mercato del lavoro considerano ormai la DE&I una componente essenziale nel Dna di un’organizzazione. La loro aspettativa è di entrare in un contesto professionale che valorizzi in ogni aspetto l’unicità di ciascuno, e che consenta a tutti di esprimere al massimo le proprie potenzialità. In un mercato caratterizzato dalla scarsità di talenti, come quello attuale, il fatto di non investire sulla DE&I rischia quindi di allontanare le aziende da un numero significativo di potenziali candidati.
Inoltre, tutti gli indicatori confermano che dove queste politiche sono attuate migliorano significativamente il clima aziendale e il wellbeing nel complesso, condizioni indispensabili per la retention e l’engagement dei dipendenti.
Non dobbiamo poi dimenticare che c’è un processo in atto, da cui è impossibile tornare indietro, che allargherà sempre più i confini delle certificazioni: il bollino rosa sulle politiche di genere è solo il primo passo di un percorso che porterà molte aziende a scegliere partner e fornitori che condividano la propria visione su queste tematiche, dando vita a una selezione che potrebbe penalizzare fortemente le realtà che non attuano politiche di DE&I.
In questo senso le grandi aziende, o quelle di matrice multinazionale che per cultura aziendale sono tendenzialmente più abituate a confrontarsi su queste tematiche, possono e devono provare a trainare anche le moltissime piccole e medie imprese italiane che, spesso, dispongono di meno strumenti, conoscenze e consapevolezza sul tema. Bisogna scongiurare il rischio di creare una frattura, una distanza incolmabile, fra grandi e piccole imprese, che nuocerebbe al sistema imprenditoriale nel suo complesso.
Dicevo che ora è il momento di passare dalle parole ai fatti, e in questa transizione il ruolo della leadership è fondamentale. Che si tratti dei vertici aziendali o del middle management, che si occupa di implementare concretamente le strategie, è assolutamente necessario che ci sia una reale condivisione dei valori affermati dall’azienda. È fondamentale che i leader agiscano animati da un forte senso di responsabilità, che rappresentino un esempio per l’intera popolazione aziendale e che, anche coloro che sono cresciuti professionalmente in epoche e contesti in cui queste tematiche non erano così rilevanti, siano aiutati a sviluppare una nuova sensibilità a riguardo e azioni conseguenti.
Da parte delle aziende ci devono essere, inoltre, la capacità e la volontà di promuovere una leadership caratterizzata dalla diversità. La prima forma di Diversity è infatti proprio quella che si afferma all’interno della leadership, che dà la misura dello spazio di libertà e del rispetto di ogni tipo di espressione. Una leadership omologata rischia di trasmettere l’idea che ci si debba conformare a un modello prestabilito. Al contrario, la presenza di leader che esprimano la loro specifica personalità e il loro stile, oltre che di differenti età, generi, orientamenti, culture è la dimostrazione che si può crescere professionalmente essendo se stessi, in un contesto che rispetta e valorizza l’unicità di ciascuno.
Mettere a punto metriche che misurino l’impatto della DE&I sull’attrazione e la retention dei talenti, così come sull’innovazione e sui risultati finanziari, è un passo fondamentale per promuovere l’attenzione verso queste tematiche. Ma fondamentale è anche “rimanere in contatto” con le persone, ascoltandole, comprendendo quali sono le reali necessità che percepiscono, per evitare il rischio che le politiche o le azioni decise al vertice non siano quelle effettivamente avvertite come prioritarie in un determinato contesto.
Sicuramente, in questi anni, di strada ne è stata fatta tanta, i progressi sono tangibili. Ora però serve una nuova spinta, un’accelerazione, attraverso un’azione collettiva che coinvolga tutti – cittadini, istituzioni, imprese – affinché Diversità, Equità e Inclusione possano davvero diventare parte integrante della cultura delle aziende e della società nel suo complesso.
*Monica Magri è HR & Organization Director The Adecco Group Italia