Spira un refolo, un refolo soltanto, di politica mite. Non è il suo tempo. Però mettiamo in fila alcuni fatti, non primari magari, ma di un certo significato simbolico e forse politico. Dunque ieri si sono celebrati i funerali di Arnaldo Forlani, figura di cui in questi giorni si è scritto abbastanza per metterne in risalto l’attitudine alla mediazione, la sapiente coltivazione della pazienza (e del dubbio, aggiungeremmo), l’abile districarsi tra le complessità dei «tempi nuovi che si annunciano e avanzano in fretta come non mai», come disse Aldo Moro nel 1968.
Come spesso accade, solo la morte restituisce un corretto giudizio su un uomo politico di alto livello, indipendentemente dalle opinioni di ciascuno, e così sono d’incanto scomparsi i toni irridenti verso il “Coniglio mannaro”, sul politico che non diceva niente, le ironie sulla triste bavetta agli angoli della bocca davanti al grande inquisitore Antonio Di Pietro. È prevalsa la lettura pressoché unanime di un uomo politico che con tutti i suoi limiti cercava di estrarre dalla politica ciò che la politica può e deve dare: la ricerca di soluzioni il più possibile condivise.
Già nei mesi scorsi era successo con Ciriaco De Mita e Gerardo Bianco, omaggiati da amici e avversari e osservatori neutrali per quella saggezza tutta democristiana – dunque anche con il portato non positivo di quella lunga gestione del potere, gli scandali, le ruberie – nel senso di quella particolare «intelligenza degli avvenimenti» (ancora Moro) che in generale corrispondeva a un’ars governandi perfetta per il carattere degli italiani, avvezzi alla litigiosità ma sempre un po’ meno della domanda, per farla breve, di essere lasciati in pace.
Sembra così vincere sul senso di disprezzo per la Balena bianca degli ultimi vent’anni un nuovo recupero di certe doti prettamente democristiane surclassate in questi decenni dal berlusconismo e dal populismo, con brevi parentesi che in un certo modo proprio al modo di intendere la politica della Democrazia Cristiana si rifacevano (magari senza dirlo): i governi tecnici, soprattutto.
Il fattore “cattolico” conta fino a un certo punto. La nostalgia per una politica più attenta alle persone che alle cose non è solo dei cattolici: è quella che si chiama alta politica. E d’altronde le ragioni del successo di un libro come quello di Pierferdinando Casini, significativamente intitolato “Quando c’era la politica”, vanno viste probabilmente nella riscoperta di una visione non muscolare, anche se tutt’altro che ingenua, della lotta politica e di una parallela capacità, perlomeno nei suoi momenti migliori, di ascolto degli altri.
In questo senso la figura di Aldo Moro, persino al di là della intrinseca e incalcolabile forza tragica, più passa il tempo e più si afferma come vetta difficilmente raggiungibile della vicenda politica italiana. “Esterno notte”, la serie di Marco Bellocchio, ha regalato a chi allora non c’era la dimensione di una politica come capacità di stimolo dei “tempi nuovi”, il famoso “dopodomani” di un suo celebre discorso: cosa che è esattamente agli antipodi del presentismo della politica d’oggi nella quale – altro che dopodomani – si guarda, se va bene, a quello che succederà nel pomeriggio.
Ai funerali di Forlani, dove erano presenti tanti democristiani e non solo – funerali di Stato come per tutti gli ex presidenti del Consiglio alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella – ha tenuto l’omelia monsignor Vincenzo Paglia: «In una realtà conflittuale e polarizzata come quella in cui viviamo, appare forse più chiara l’importanza della sua opera costante per conciliare posizioni diverse, per avvicinare forze contrapposte, per tessere alleanze tra mondi anche culturalmente lontani. Tutto ciò che la buona politica avvicina, ricompone, collega, migliora la vita di una società e, al tempo stesso, fa accumulare a chi la promuove un tesoro prezioso che resta patrimonio comune».
Il punto è esattamente questo. Nel tempo della destra-destra al potere con tutte le sue sgrammaticate altezzosità, e di una sinistra troppo chiusa in certi cliché e perciò parimenti altezzosa, torna di una certa attualità il rimpianto di una politica a più basso volume: «La politica democristiana – ha scritto Marco Follini in un piccolo libro di qualche anno fa che dice tutto, “Democrazia Cristiana-Il racconto di un partito” (Sellerio) – era essenzialmente fondata sulla misura. Un po’ come nella composizione dei farmaci, la misura giusta poteva essere salvifica, la misura eccessiva diventava veleno», nutrendo al fondo la convinzione del Conte Zio manzoniano: «Troncare, sopire… Alla fine tutto s’accomoda da sé».
Quando le cose, sul finire del secolo scorso, non “si accomodarono” più la Dc morì. Ma non la ricerca di una politica alta e umana che oggi pare impossibile riuscire a intravedere. È solo un refolo ma non è pochissimo.