Neocolonialismo Il golpe in Niger, gli affari della Russia e la nuova instabilità del Sahel

L’ormai ex presidente Bazoum era uno dei leader più vicini all’Occidente in quella regione. La sua caduta gioca a favore di Mosca e rischia di portare al crollo della sfera d’influenza europea sull’Africa

AP/Lapresse

Quando nel 2021 Mohamed Bazoum venne eletto presidente del Niger tramite elezioni democratiche, le prime dall’indipendenza dalla Francia del 1960, gli esperti dissero che sarebbe durato poco. In effetti è durato poco. Il 26 luglio è stato deposto da un colpo di Stato militare: non è una stranezza in un Paese in cui la norma è la transizione di potere tramite spargimenti di sangue, è uno scenario di fatto “normale” che apre un ventaglio di rischi enormi per l’Africa del Nord, per l’Italia, la Francia e in generale tutta l’Europa.

Bazoum è considerato uno dei leader più filo-occidentali del Sahel: non a caso lo scorso dicembre è stato a Roma per un incontro con il presidente Sergio Mattarella in cui è stata ribadita la partnership strategica tra Italia e Niger. Partnership che ora, con il generale Tchiani al potere, parrebbe essere decaduta.

Il colpo di Stato comporta un problema di strettissima attualità e tanti altri a lungo termine. Quello attuale riguarda i milleseicento soldati, quasi tutti francesi, arrivati in Niger dopo il fallimento dell’operazione Barkhane in Mali e la conseguente avanzata del gruppo Wagner.

Tutta l’operazione che ha spodestato Bazoum è animata da un forte sentimento antifrancese, che mette a rischio la vita dei soldati di stanza lì. Un odio che si evince anche dalle accuse dei golpisti secondo cui Parigi avrebbe fatto atterrare senza autorizzazione un A401 all’aeroporto di Niamey lo scorso 27 luglio (forse per cercare di trarre in salvo l’ormai ex presidente, che è in custodia e in buona salute, e che ha avuto modo di parlare con il Segretario di Stato americano Antony Blinken).

Nelle stesse ore, proprio a Niamey, si sono viste manifestazioni di nigerini scesi in strada contro il golpe. Manifestazioni sovrastate in termini numerici e di violenza da quelle delle persone favorevoli all’operazione, che sventolavano la bandiera della Russia. Sì, perché è questo il modus operandi di Putin in Africa: dare al popolo l’illusione di essere migliore degli europei, soprattutto di quei francesi che per anni hanno mantenuto il potere coloniale su quelle aree. È successo in Mali, sta succedendo in Niger, può succedere nei vicini Togo, Benin e Burkina Faso.

Il Niger è l’ultimo presidio occidentale nel Sahel, o meglio, lo era. Questo mette a rischio la tenuta degli interessi delle tante aziende italiane – e non solo – che operano lungo il corso dell’omonimo fiume, soprattutto nel settore energetico.

In generale, tutta l’area al di sotto del deserto del Sahara è in crisi, per un motivo o per l’altro: Niger e Mali sono minati dall’instabilità politica e sono caduti in mano ai golpisti con l’aiuto della Russia, il Ciad è alle prese con una difficile transizione dopo la morte, nel 2021, del presidente-dittatore Idriss Deby, mentre in Sudan si combatte ormai da tre mesi e qualche giorno, in un contesto di fame e crisi umanitaria che dura da praticamente quarant’anni.

Come sempre, l’inesistenza di un esercito comune europeo rafforza le politiche russe in una zona ricchissima di materiali e con un potenziale di sviluppo del tutto inespresso.

Nel mentre, Vladimir Putin vorrebbe dare agli africani l’immagine del leader buono, giocando col grano, vendendolo a prezzi irrisori o addirittura regalandolo ai Paesi amici, in un perverso dare-avere spropositatamente sbilanciato in favore, neanche sarebbe da dirlo, di Mosca.

Ora in Mali e in Niger i cittadini acclamano Putin, presunto novello salvatore di un continente devastato da secoli di crimini e ingiustizie, ma cosa faranno domani, quando il leader russo, o chi per lui, verrà a chiedere il conto ai Paesi che in quel momento si troveranno invasi dai miliziani di Wagner e non avranno la forza, né politica, né militare, per potersi opporre?

Per questo la caduta di Bazoum è un dramma per l’occidente. Bazoum era l’unico garante di un equilibrio fragilissimo, l’unico che ha deciso di accogliere i francesi in ritirata dal Mali, l’unico che parlava con l’Europa e con gli Stati Uniti (e questo forse è proprio ciò che gli ha salvato la vita: se i golpisti lo avessero fatto fuori, probabilmente ora staremmo parlando di una guerra e non di un colpo di Stato).

Adesso, volenti o nolenti, bisognerà trovare una soluzione per non perdere del tutto il polso sul Sahel: la priorità numero uno sarà sicuramente rimpatriare in modo sicuro i militari di Barkhane, o di trovargli un’altra collocazione.

Fatto questo, si dovrà forse progettare una strategia di ampio respiro che possa quantomeno permettere alle aziende occidentali di continuare a operare in Niger senza pericoli per l’incolumità dei lavoratori.

Infine, sarà probabilmente l’ora di trovare una soluzione che eviti il totale crollo della sfera d’influenza europea sull’Africa, anche se si può iniziare a parlare di situazione pressoché irrecuperabile e di nuovo, oscuro, oppressivo, dominio russo sul Sahel.

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