Era il 17 luglio 1902 quando l’ingegnere statunitense Willis Haviland Carrier presentò il primo moderno sistema di condizionatore. Si trattava di un ingombrante apparecchio pieno di congegni che gestivano il passaggio di gas «refrigeranti» dallo stato liquido a quello aeriforme, azione che portava a un abbassamento della loro temperatura e, di riflesso, a una refrigerazione dell’ambiente circostante e alla deumidificazione. E il primo utilizzo del macchinario avvenne in una tipografia di Brooklyn per proteggere la carta dagli sbalzi di umidità.
Nel 1906 Carrier brevettava il suo «Apparatus for Treating Air»: un apparecchio che garantiva il raffreddamento dell’aria sfruttando l’espansione di gas refrigeranti, convogliati in un circuito idraulico dotato di compressori e ventole nel quale essi passavano più volte dallo stato liquido a quello aeriforme. Un processo che implicava due unità collegate tra loro: una «esterna», dove il gas scorreva allo stato liquido, e una «interna», dove tornava aeriforme.
Erano progetti pensati e sviluppati per grandi spazi industriali, ma ci volle pochissimo perché i nuovi condizionatori cominciassero a diffondersi da quell’ambito a teatri, cinema e uffici, anche se per molto tempo rimasero ingombranti e pericolosi. I gas usati, dall’ammoniaca al clorometano, erano infatti tossici, e un’accidentale fuoriuscita poteva risultare fatale. Per questo motivo, nel 1931 furono sostituiti da nuovi composti chimici noti col nome commerciale di «freon», innocui per l’uomo, ma non per l’ambiente, in particolare per l’ozono atmosferico, tanto che oggi sono in gran parte vietati, a favore di gas con minor impatto ambientale.
Nel 1931, sempre negli Stati Uniti, gli ingegneri H.H. Schultz e J.Q. Sherman svilupparono un condizionatore di dimensioni «domestiche», da collocare sui davanzali delle finestre. Poi, nel 1939, con l’americana Packard fu la volta delle automobili e degli altri mezzi di trasporto. Ma fu solo dopo la Seconda guerra mondiale, con quella nuova visione di prosperità che stava avanzando ovunque, che l’aria condizionata trovò davvero la sua strada.
Tra le tante cose, si apriva la possibilità di progettare edifici completamente nuovi, che non tenessero cioè conto dell’aerazione naturale. Uno su tutti, il Pentagono, risalente agli anni Quaranta. Oppure grattacieli di nuova generazione, in grado di mantenere la stessa temperatura indipendentemente dall’altezza. Nel 1945 la rivista «Life» pubblicava un articolo di quattro pagine intitolato L’aria condizionata, dopo la guerra sarà abbastanza economica da entrare nelle case private. Era vero: quello che fino alla metà del Novecento era rimasto comunque un lusso, adesso stava per invadere il mercato.
Di tutto il mondo, furono proprio gli Stati Uniti ad assistere alla prima vera proliferazione dell’aria condizionata nelle abitazioni. La tecnologia originariamente concepita come strumento per migliorare la produttività industriale divenne rapidamente una necessità per le case americane. Oggi è più probabile che una famiglia statunitense abbia l’aria condizionata centralizzata o unità finestra piuttosto che una sala da pranzo, un garage o persino una lavastoviglie. E soprattutto oggi i soli Stati Uniti consumano aria condizionata più di tutte le altre nazioni del mondo messe assieme. Giusto per dare una misura di quello che di fatto è un enorme problema, nel 2016 gli Stati Uniti hanno utilizzato circa 616 terawatt ore (TWh) di elettricità per il condizionamento dell’aria, mentre tutta l’Unione Europea con una popolazione una volta e mezza più grande, ha utilizzato solo 152 TWh per lo stesso scopo.
Da “Estate – Promessa e nostalgia” di Alessandro Vanoli (Il Mulino), 240 pagine, 17,10 euro