ForzalavoroQuando il capo fa quiet quitting, Meloni dagli industriali e il salario minimo delle opposizioni

Nella newsletter di questa settimana: tra smart working e inflazione, i datori di lavoro tagliano i benefit ai dipendenti, ma a risentirne sarà la produttività; la premier all’assemblea di Assolombarda e la verità dietro i numeri record sull’occupazione; il pressing dei partiti di opposizione (tranne Italia viva) sulla proposta della soglia minima dei 9 euro l’ora e il no di Calderone e Cisl. Ma anche gli appalti e gli algoritmi, un libro da leggere e il disastro dei ritiri aziendali. Ascolta il podcast!

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I buoni pasto, il ping pong, la palestre, la bici elettrica gratuita per andare al lavoro. I benefit aziendali per i dipendenti, soprattutto nel mondo tecnologico, per anni hanno simboleggiato l’appartenenza a un club esclusivo. Vantaggi che miravano a creare una comune cultura aziendale, in cui il datore di lavoro si prendeva cura dei propri dipendenti e i dipendenti mostravano attaccamento alla squadra.

Ora, dopo che con la pandemia ha messo definitivamente in discussione l’obbligo del lavoro in ufficio, con i datori di lavoro che si sono accorti che non serve avere il controllo sui dipendenti perché siano produttivi, non solo il totem del lavoro full time sta venendo meno ma anche i benefit collegati. Con una moltiplicazione di lavori da remoto, spesso affidati a freelance esterni e in Paesi in cui il costo del lavoro è più basso.

Un’altra recessione? È quella che il Wall Street Journal ha chiamato «perk-cession», «recessione dei benefici». Le grandi aziende della Silicon Valley, in preda alla crisi che le ha portate a licenziare migliaia di dipendenti, hanno cominciato eliminando molti benefit aziendali. Ma lo stesso stanno facendo anche le più piccole, avviando in parallelo un processo di «uberizzazione» del lavoro che esternalizza le mansioni e non richiede più quel lavoro di cura dei dipendenti in azienda. Sono i datori di lavoro che fanno «quiet quitting», ha scritto Business Insider.

  • Se da un lato ci sono i lavoratori che fanno il minimo indispensabile per garantirsi lo stipendio, dall’altro lato ci sono i datori di lavoro che fanno il minimo indispensabile per i propri lavoratori.

Goodbye, Mr. Nice Dimentichiamo quella narrazione del «datore di lavoro gentile» emersa con la pandemia. Come ha scritto il Time, nel 2020 molte aziende hanno ascoltato le esigenze dei lavoratori, fornendo opzioni di lavoro a distanza, servizi per il benessere anche per i familiari e programmi di inclusione. Ora, tre anni dopo – anche per via dell’inflazione galoppante – i capi stanno ritrattando su molti di questi servizi.

Disinnamorarsi a distanza Non ci sono però solo ragioni economiche. Questa disconnessione, secondo le ricerche, è dovuta anche alla maggiore diffusione del lavoro a distanza. Il quiet quitting – le dimissioni silenziose – dei dipendenti sarebbe dovuto in gran parte alla mancanza di connessione con l’ambiente lavorativo. E lo stesso vale per i datori di lavoro.

In un sondaggio condotto dalla Fed di Atlanta lo scorso anno, le aziende hanno affermato che il lavoro a distanza le ha portate a fare scorta di dipendenti part-time, a tempo, appaltatori autonomi e posizioni esternalizzate anche all’estero. Riducendo al minimo ogni benefit o servizio di welfare aziendale: meno posti di lavoro a tempo pieno significa meno benefit costosi. McKinsey stima che i lavoratori indipendenti negli Stati Uniti ora costituiscono il 36% della forza lavoro: nove punti in più rispetto al 27% del 2016.

  • Alcuni scelgono il lavoro da autonomo perché preferiscono essere flessibili, altri perché non hanno alternative. E molti – dopo essere stati licenziati dalle aziende – hanno assunto diversi incarichi da datori di lavoro diversi per garantirsi una certa sicurezza economica e avere sempre un piano B.

Il costo del disimpegno Ma questo disimpegno dai lavoratori e dal luogo di lavoro potrebbe finire per danneggiare le aziende. Se investono meno nei loro lavoratori, otterranno meno da quei lavoratori, che in cambio investiranno meno nelle loro aziende. E non ci penseranno due volte prima di dimettersi e andare a lavorare altrove. Un grosso problema in un momento in cui la manodopera è così scarsa. Questo, forse, è anche uno dei motivi per cui così tanti capi ordinano alle persone di tornare in ufficio, almeno qualche giorno a settimana. Senza una cultura del posto di lavoro condivisa, il rischio è non solo di essere meno produttivi, ma anche di lasciarsi sfuggire i migliori talenti.

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NEL MONDO DI GIORGIA
Il Mes può attendere (sarà votato un rinvio di quattro mesi che darà fiato alla maggioranza fino a novembre). Il salario minimo non la convince. Il Pnrr –  nonostante la Commissione non abbia ancora sbloccato la terza tranche e per la quarta sono scaduti i termini dei 27 obiettivi – «nella migliore tradizione dei Tafazzi d’Italia, viene strumentalizzata per attaccare il governo». Mentre «l’occupazione sta facendo registrare numeri record, anche grazie alle misure che abbiamo adottato». Sono le parole della premier Giorgia Meloni in un’intervista al Corriere dopo il Consiglio europeo della scorsa settimana.

Messaggio al Nord La premier, oggi a Milano per l’assemblea generale di Assolombarda alla presenza presidente di Confindustria Carlo Bonomi, ha provato a rassicurare gli imprenditori del Nord dicendo che l’Italia cresce e che è il Paese più affidabile dell’Eurozona e che sul Pnrr «metteremo i soldi a terra a qualsiasi costo».

NUMERI E PROPAGANDA
Giorgia Meloni ha rivendicato la crescita dell’occupazione certificata dagli ultimi dati Istat, con la disoccupazione ai minimi dal 2009. Ma cosa c’è dietro ai numeri?

  • A maggio 2023, la crescita occupazionale è determinata unicamente dalla crescita (+24mila) dei lavoratori autonomi
  • Il numero complessivo degli occupati – 23,4 milioni di persone – è più o meno lo stesso di cinque anni fa. Anche se aumenta la domanda di lavoro, l’offerta è la stessa. Le ragioni sono dovute al calo demografico, ma anche allo scarso ingresso di lavoratori immigrati regolari
  • I dati di maggio non risentono ancora della maggiore liberalizzazione dei contratti a termine, né delle modifiche al reddito di cittadinanza (il decreto lavoro, intanto, è stato convertito in legge la settimana scorsa), né del calo della produzione industriale. Quindi bisognerà vedere cosa accadrà a breve prima di brindare.
  • La “precarietà” riguarda ancora 7 milioni di persone tra lavoratori a termine, disoccupati e inattivi disponibili al lavoro.

Italie Bisogna tenere in considerazione che l’occupazione risponde in ritardo al ciclo economico e risente ancora positivamente della forte ripresa post-pandemica. Nel 2022 la ripresa ha interessato principalmente il Nord-est, dove il Pil è aumentato in volume del 4,2%. Anche in termini occupazionali il Nord-est è stata l’area trainante, con un incremento degli occupati che ha raggiunto il 2,4%, a fronte del +1,2% del Mezzogiorno.

  • Domani verrà reso noto il rapporto deficit/Pil del primo trimestre 2023.

 

EPPUR SI MUOVE
Questa settimana le opposizioni, tranne Italia viva, chiederanno alla Camera la calendarizzazione della proposta di legge per introdurre il salario minimo, partendo da una soglia minima di 9 euro l’ora. Per l’ex presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, il salario minimo aiuterebbe lo Stato, che guadagnerebbe 1,5 miliardi l’anno. Cgil e Uil aprono all’intesa, dalla Cisl è arrivato un no. Bonomi ha detto che da parte di Confindustria non c’è nessun veto. Ma la ministra Calderone ha già bocciato la proposta. Carlo Calenda ha chiesto alla premier di esser ricevuto per illustrare la proposta.

  • La proliferazione dei contratti, arrivati a 966, ha prodotto una riduzione media degli stipendi. Ci sono oltre 4 milioni di lavoratori sotto la soglia minima di 9 euro l’ora.

L’ANGOLO DEL GIUSLAVORISTA
Gli imprenditori più spregiudicati cercano di nascondersi dietro un’app dello smartphone per esternalizzare lavoro a basso costo, si legge nella puntata di Labour Weekly di questa settimana. Un risparmio di breve periodo che può diventare una perdita consistente in caso di contenzioso, come dimostra la decisione della Corte d’Appello di Venezia che ha recentemente qualificato come “intermediazione illecita di manodopera” l’organizzazione della prestazione lavorativa di alcuni dipendenti dell’appaltatore attraverso un software gestito dal committente che impartiva continuamente disposizioni ai lavoratori. L’appalto non può essere utilizzato come uno schermo per risparmiare sul costo del lavoro, nemmeno se gestisci un software. L’appalto, insomma, non è (ancora) un algoritmo.

 

LA SCALATA
Repubblica scrive che si riaprono i giochi per il controllo delle Generali di Trieste, la più grande compagnia assicurativa del Paese con oltre 82mila dipendenti nel mondo. La novità arriva dall’Ivass, l’autorità che vigila sul mercato assicurativo, che venerdì 30 ha autorizzato la Delfin, la holding finanziaria della famiglia Del Vecchio, a salire oltre il 10% del capitale di Generali.

Tute blu Il 7 luglio è previsto lo sciopero generale del settore metalmeccanico. Intanto i destini dell’ex Ilva restano avvolti nell’incertezza. La richiesta di cassa integrazione presentata dall’azienda per 2.500 non ha ancora ottenuto il via libera del ministero del Lavoro. Il prossimo appuntamento è previsto l’11 luglio a Roma.

 

 

COSE DI LAVORO
Good news 
Nel 2022, il programma “Welcome. Working for Refugee Integration” dell’Unhcr ha portato 167 aziende italiane ad assumere 9.264 rifugiati. Il programma è partito nel 2017 e finora sono stati avviati oltre 22mila percorsi professionali in oltre 520 aziende attive in Italia.

Green e flessibile Considerato che una quota significativa di emissioni inquinanti sono dovute ai trasporti, nella proposta di aggiornamento del Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (Pniec) che il governo ha inviato a Bruxelles, tra le soluzioni pensate per ridurre le emissioni si citano lo smart working e la settimana corta.

Guardiani del Web La causa intentata a Facebook da parte dei quasi 200 ex moderatori di contenuti in Kenya, che denunciano condizioni di lavoro da incubo, è la prima al di fuori degli Stati Uniti e potrebbe avere implicazioni per i moderatori dei social media in tutto il mondo.

Tra stress e relax Bbc parla del burnout in cui finiscono molti di quelli che cercano un nuovo lavoro. Ma anche di quanto possano essere terribili i ritiri aziendali fatti in nome del team building nell’era del lavoro flessibile.

Da leggere “Il lavoro del lavoro” di Aldo Bottini e Alberto Orioli (Il Sole 24 Ore) è un libro utile per capire che cosa sta accadendo nel magma incandescente degli uffici senza più scrivanie, orari, cartellini. Dove contemporaneamente ci sono quelli che si dimettono per cambiare lavoro e trovarne uno più bello e gli immigrati che lavorano per pochi euro nei campi di mezza Italia o in sella alle bici che sfrecciano nelle nostre città.

Da vedere Il New York Times parla della serie “The Bear” e della visione caotica del lavoro che ne viene fuori. Se non l’avete ancora vista, potrebbe essere un buon motivo per recuperarla.

 

Per oggi è tutto.

Buona settimana!

Lidia Baratta

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