Le scuole sono chiuse da quasi un mese ma in Ungheria le proteste degli insegnanti contro il governo di Viktor Orbán non si fermano. Nonostante l’ennesima manifestazione indetta da docenti, studenti e sindacati, lo scorso martedì il Parlamento ungherese ha approvato una nuova legge sull’educazione che limita ulteriormente i diritti e l’autonomia del personale docente e che i manifestanti hanno già soprannominato “la legge della vendetta”. A più di un anno e mezzo dalle prime proteste, i manifestanti infatti vedono la riforma come l’ennesimo tentativo da parte del governo di Orbán di metterli a tacere peggiorando le loro condizioni lavorative e promettendo aumenti di salario strategicamente legati all’arrivo di fondi europei.
Le prime manifestazioni degli insegnanti ungheresi risalgono infatti a inizio 2022, quando più di ventimila insegnanti avevano partecipato al primo sciopero dell’anno per ottenere un aumento degli stipendi e migliori condizioni di lavoro. L’Ungheria è infatti il secondo Paese dell’Ocse a pagare di meno i suoi insegnanti, che guadagnano in media poco più di cinquecento euro al mese.
La scorsa estate Orbán ha deciso di sfruttare la fine della pandemia per trasformare in legge un decreto che definisce il numero minimo di ore di insegnamento e supervisione che il corpo docente deve garantire durante gli scioperi. Di fatto, la legge limita fortemente il diritto allo sciopero degli insegnanti, che tuttavia hanno continuato a scendere in strada rischiando il licenziamento per disobbedienza civile.
Proposta a inizio marzo dal ministero dell’Interno, che nel 2022 Orbán ha messo alla guida dell’istruzione pubblica, la “legge della vendetta” prevede che gli insegnanti smettano di essere considerati impiegati pubblici, perdendo l’accesso ad alcuni benefit non previsti dal nuovo status di impiegati della pubblica educazione, come periodi di riposo compensativo più lunghi e liquidazioni più alte. Agli insegnanti che rifiutano il cambio di status verrà impedito di insegnare nelle scuole pubbliche ungheresi.
La nuova legge prevede anche la possibilità che le autorità estendano la durata dell’anno scolastico «in caso di circostanze imprevedibili e inevitabili», il trasferimento di insegnanti e studenti in altri istituti dello stesso distretto scolastico senza il loro consenso, l’estensione dell’orario di lavoro giornaliero (che può superare le otto ore) e quello delle sostituzioni (che possono raggiungere il centodieci per cento delle ore di lavoro dei docenti). Una versione precedente della riforma approvata dal Parlamento avrebbe anche permesso alle autorità ungheresi di sorvegliare i dispositivi elettronici del personale docente e registrare le loro lezioni.
«La nuova legge non include di per sé un aumento dei salari, ma fissa un salario minimo che comunque non rappresenta un aumento per la maggioranza degli insegnanti», ha spiegato a Linkiesta Zsófia Moldova, avvocata dell’organizzazione umanitaria Hungarian Helsinki Committee. «La legge prevede anche un aumento dei salari legato alla performance degli insegnanti a partire da settembre di quest’anno, ma non specifica di quanto. Il governo ha collegato questo aumento all’arrivo di fondi da parte dell’Unione europea, che sarà molto improbabile veder arrivare», ha aggiunto Moldova.
Già lo scorso ottobre il capo di gabinetto di Orbán, Gergely Gulyás, aveva annunciato che gli stipendi degli insegnanti sarebbero aumentati gradualmente nei due anni successivi, a condizione sempre di ricevere i fondi europei necessari. Gli aumenti previsti andavano dal 20,8 per cento nel 2023 fino al trenta per cento nel 2025. La proposta non aveva convinto i sindacati degli insegnanti, che si erano accorti che il governo non aveva tenuto conto dell’inflazione, al netto della quale l’aumento dei salari sarebbe arrivato al massimo al sei per cento. Nonostante l’Ungheria abbia raggiunto un accordo con l’Unione europea lo scorso dicembre sugli aiuti all’Ucraina e sull’aliquota minima per le multinazionali, Moldova ha confermato che l’aumento non è mai arrivato nelle tasche degli insegnanti.
Il Segretario di Stato Bence Rétvá ha affermato di aver esaminato la proposta di legge insieme ai sindacati degli insegnanti, mentre questi ultimi sostengono di non aver preso parte alle discussioni, alle quali il ministro dell’Interno Sándor Pintér avrebbe convocato unicamente i rappresentanti dei principali partiti politici.
Secondo il portale di notizie ungherese Telex, circa cinquemila insegnanti ungheresi sono intenzionati a lasciare la professione da qui all’entrata in vigore della legge, prevista per gennaio 2024. Il governo di Orbán ha liquidato il pericolo di dimissioni di massa, che peggiorerebbero ulteriormente un settore in cui gli insegnanti sono sempre meno e sempre più anziani, ribattendo che l’opposizione sta strumentalizzando la legge sull’educazione per i propri fini politici.
«Questa nuova legge è un tentativo disperato e distruttivo di mitigare la crisi [del sistema educativo ungherese]», ha commentato Moldova, rispetto alla quale l’avvocata sostiene che l’Unione Europea abbia uno spazio di manovra limitato, dato che le politiche educative sono in larga parte di competenza dei Paesi membri.
In un articolo di opinione su EuObserver, la deputata europea di Renew Europe Katalin Cseh ha invece lanciato un appello alla Commissione Europea, chiedendole «riconoscere la crisi del sistema educativo ungherese non come un problema interno, ma come una questione legale e democratica. Il mancato diritto a un’educazione di qualità, a condizioni di lavoro giuste e alla libertà di espressione costituiscono una violazione dei valori fondanti dell’Europa».
In attesa della risposta della Commissione e nonostante gli scontri con la polizia siano diventati sempre più accesi, gli insegnanti ungheresi si preparano fin da ora a un nuovo anno scolastico di scioperi.