Anche se mancano circa trecento giorni al voto si sta rendendo chiaro che le prossime elezioni europee non rappresenteranno quella svolta epocale che Giorgia Meloni sogna da tempo. Dati alla mano (certo, sondaggi, ma credibili) si ricostituirà la “maggioranza Ursula” con socialisti, liberali e popolari e la stessa Ursula von der Leyen verrà confermata alla guida della Commissione europea.
Come ha scritto Claudio Tito su Repubblica, l’ultimo sondaggio effettuato da Europe Elects ci dice che la somma di Popolari e Conservatori (la formula di Meloni) raggiungerebbe duecentoquarantotto seggi «ben lontani dai 307 necessari per eleggere il/la Presidente della Commissione». Mentre Stefano Ceccanti, sul Riformista, ha spiegato che il meccanismo che rende forte la destra italiana, “costretta” a stare insieme dal maggioritario, non è replicabile in Europa dove anche a causa del proporzionale andrà divisa: e infatti a destra corrono l’uno verso l’altro armati, come si sta già vedendo con le polemiche tra Antonio Tajani, favorevole al modello Ursula, e Matteo Salvini, che vorrebbe una impossibile unità di tutta la destra compresi i neonazisti tedeschi di AfD. Per questo, secondo Ceccanti, Giorgia Meloni farà una campagna sovranista «per poi pragmaticamente entrare in maggioranza subito dopo cn un’impostazione realista».
Ma questo significa una cosa precisa: malgrado i quintali di propaganda in Europa, Meloni conta poco ed è destinata a contare poco anche dopo le elezioni del 2024. Deve essersi accorta anche lei che a Bruxelles a parte i baci e gli abbracci e qualche frasetta su innocui documenti non porta a casa mai nulla di concreto.
I Paesi forti continuano a non vederla come una protagonista. Non proprio come una dilettante ma certo non è Mario Draghi: il fatto per esempio che non sia stata capace di ammorbidire nemmeno un po’ i suoi amici Viktor Orbán e Mateusz Morawiecki agli occhi di Parigi e Berlino non ha deposto a suo favore. Se sfuma dunque l’orizzonte di una “nuova Europa” senza socialisti la destra la metterà tutta sul piano interno puntando a fare delle europee un referendum sul governo.
Il Partito democratico cercherà di non cadere completamente nella trappola di una “italianizzazione” delle europee. E infatti è stata una buona idea quella di Elly Schlein di riunire la segreteria del partito a Ventotene, l’isola del confino di Ernesto Rossi, Eugenio Colorni, Altiero Spinelli, alla memoria del quale ha deposto un mazzo di fiori prima della riunione che si è tenuta nella sede del circolo Ursula Hirschmann, grande antifascista moglie di Eugenio Colorni e poi dello stesso Spinelli.
Il Partito democratico capisce che l’Europa non sarà blu-nera come pensa la premier e punta a un risultato che sommi l’europeismo alla auspicata difficoltà del governo da far emergere con la linea dura e molto “sociale”, e in questo senso la calendarizzazione della proposta di legge sul salario minimo, il 28 luglio, sarà l’occasione per fare un gran battage su un tema dal forte impatto comunicativo.
Certo bisognerà che il “campo largo” che si è compattato sul salario minimo trovi un minimo di sintonia anche sul resto, a partire dal linguaggio e dai toni. In questo senso la sparata da Centri sociali di Giuseppe Conte dovrebbe far meditare Schlein, per non dire di Carlo Calenda, perché gridare all’«incendio sociale» magari avendo negli occhi le devastazioni francesi è un esercizio da apprendista stregone, è un masaniellismo che vellica il disagio facendo peraltro credere che con i nove euro orari i problemi si risolvano d’incanto.
Di qui alla deriva estremistica è un attimo. Elly invece deve stare in equilibrio, se vuole concorrere con la premier. E l’avvocato non deve esagerare. Anche perché la rivoluzione francese di questi giorni sembra già esaurita e il detestato Emmanuel Macron sembra avercela fatta un’altra volta.