Mind the gapIl flop di Vox è il primo inciampo di Meloni nella scalata al potere europeo

Il pessimo risultato alle elezioni spagnole dell’estrema destra rovina i piani della presidente del Consiglio che vorrebbe costruire nelle istituzioni Ue una alleanza tra conservatori e popolari

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L’effetto Meloni non c’è stato. Vox è uscita cannibalizzata dal Partido Popular e dal voto utile, segnando una battuta d’arresto, speriamo non momentanea, dell’estrema destra spagnola che ha perso circa il trentotto per cento dei voti rispetto al 2019. La presidente del Consiglio italiana ha sempre sostenuto che il partito nazionalista di Santiago Abascal fosse il più simile a Fratelli d’Italia. Ma i numeri dei suoi amici oggi non sono sufficienti per fare come a Roma ovvero un governo di centrodestra che sarebbe molto utile e strategico dopo le europee. A pesare nella definizione della Commissione, oltre al Parlamento, è anche il Consiglio dell’Ue dove siedono i rappresentanti degli esecutivi nazionali.

Il dato politico di fondo è che il voto spagnolo segna il primo incidente di percorso nella scalata al potere europeo di Meloni. Una zeppa all’alleanza Popolari-Conservatori. Incidente non banale anche se non rappresenta un’inversione sicura del vento di destra che soffia in Europa. Lo stesso risultato ottimo e solitario dei Popular, pur frenato dalla remontada di Sanchez, conferma questa tendenza politica. Tuttavia ci dice che le destre non vincono ovunque a mani basse o si affermano con sicurezza come è successo in Svezia e Finlandia.

Stanno molto interessanti i prossimi appuntamenti elettorali nei Paesi Bassi e in particolare in Polonia dove Donald Tusk combatte contro il Conservatore Mateusz Morawiecki. Un irriducibile popolare che in Europa non intende allearsi con l’amico della presidente del Consiglio italiana. In politica veramente mai dire mai, ma ai nastri partenza la situazione è questa: per la destra anche in versione Popolare la strada non è spianata.

Non lo è neanche per Meloni, che scivola sul gradino Abascal alla vigilia del suo viaggio a Washington. Domani è il grande giorno della visita alla Casa Bianca alla quale arriva un po’ indebolita dalla sconfitta di Vox ma forte della sua posizione sull’Ucraina e nel Mediterraneo. Può vantare un presunto successo della Conferenza Internazionale con i Paesi del Maghreb e del Golfo e il memorandum d’intesa con la Tunisia. Porta in dote a Joe Biden un protagonismo fino al Corno d’Africa per contribuire a staccare tentacoli cinesi e contrastare l’egemonia militare wagneriana della Russia. Impresa titanica che gli americani rubricano a buona volontà e disponibilità. Meloni, se vuole veramente farsi valere, dovrà dimostrarlo tagliando il vecchio accordo siglato da Giuseppe Conte e Matteo Salvini sulla Via della Seta. Una prova notevole ma deve stare attenta a non fare male alla nostra economia. Equilibrismo che Meloni ha dimostrato di saper fare in politica estera.

Rimane a galleggiare nel mediterraneo la speranza del centrodestra di fermare l’onda migratoria con l’ambizioso Piano Mattei, più concretamente con un po’ di soldi distribuiti agli autarchici signori magrebini. Lontani anni luce i blocchi navali, la politica dei porti chiusi, l’illusione di fare sovranamente da soli, Meloni ha sempre accanto a sé in questi consessi Ursula von der Leyen, cioè la Commissione europeache una volta era considerata da Fratelli d’Italia la longa manus delle «consorterie mondialiste» dell’austerità e della sostituzione etnica.

Ecco, Meloni entra nella Sala Ovale senza le corna golpiste dello sciamano, depurata momentaneamente dal trumpismo di Donald. Ci entra come una delle leader europee più affidabile sul fronte della guerra e nelle acque mediterranee. Indimenticabili quelle foto, che sembravano create dall’intelligenza artificiale, in cui il vecchio Joe teneva per mano la giovane estasiata Giorgia al G7 di Hiroshima.

Le metamorfosi, più prosaicamente del pragmatismo, sono infinite come le vie del signore. Ma anche impreviste e inaspettate come gli inciampi elettorali in Europa.

 

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