Coperta cortaIl governo cerca fondi per la manovra (in deficit)

Le richieste dei ministeri valgono quaranta miliardi, Giorgetti non potrà accontentarle tutte. L’esecutivo prova ad accelerare sul recupero crediti e valuta «baby privatizzazioni», con l’incognita del super bonus inviso alla premier

Palazzo Chigi - Conferenza stampa al termine del Consiglio dei ministri
(Roberto Monaldo / LaPresse

Il governo cerca fondi: mantenere tutte le promesse della campagna elettorale sarebbe troppo costoso. L’ammontare della manovra, ha sostenuto ieri il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, dipenderà «anche da fattori internazionali», cioè sulla revisione (o meno) del Patto di stabilità europeo. «Forse troveremo un accordo, forse no. Che non ci si riesca è forse l’ipotesi più probabile», ha aggiunto Giorgetti, facendo una previsione sulle trattative tra Consiglio e Parlamento europeo.

Il punto, anche politico, è che Palazzo Chigi cercherà di «rispettare gli obiettivi con un principio di responsabilità», ma tenendo conto di una serie di «fattori rilevanti». Questi ultimi verranno illustrati nella nota di aggiornamento al Def, a fine settembre. In attesa di conoscere i dati, il Mef sembra voler confermare gli obiettivi: deficit pubblico in calo al 4,5 per cento del Pil nel 2023, al 3,7 per cento l’anno prossimo e al tre per cento nel 2025.

«Sono i numeri lasciati in eredità dal governo di Mario Draghi, in apparenza. Nella sostanza non è proprio così» spiega Federico Fubini sul Corriere della Sera. Grazie alle nuove regole europee sulla classificazione dei crediti d’imposta da bonus-casa, il governo ha potuto spostare sugli ultimi anni novanta miliardi di deficit che invece erano stati previsti dall’esecutivo Draghi per i prossimi anni: è stato quindi scaricato sul passato molto disavanzo che Palazzo Chigi avrebbe dovuto registrare tra il 2023 e il 2026.

A parità di attese di disavanzo per il presente e il futuro, di fatto si è ricavato uno spazio per novanta miliardi di maggiori spese o minori entrate in più per i prossimi anni. «Di fatto è stato un aumento netto di deficit – conclude Fubini –. In politica economica i simboli comunque contano e la conferma apparente dei numeri di Draghi ha un suo potere sui mercati».

Secondo Repubblica, quella in lavorazione sarà una «manovra identitaria», con possibili tagli ad ambiente, ricerca e cultura. C’è il super-bonus da rifinanziare: è già costato 74,2 miliardi, il doppio della previsione originaria di spesa, di 33,6 miliardi. La cifra si riferisce ai lavori già conclusi, includendo quelli in corso d’opera o autorizzati si sale oltre quota novantuno miliardi di euro. La premier Meloni l’ha definito un «disastro contabile» e «la più grande truffa ai danni dello Stato», anche se le frodi non superano lo 0,5 per cento dei fondi stanziati.

Per accogliere le richieste dei ministeri, messe per iscritto nei giorni scorsi, il Mef dovrebbe trovare quaranta miliardi di euro. Al momento ne ha sei. Una delle maggiori incognite, per coprire i costi, riguarda il rinnovo dei contratti pubblici, che valgono otto miliardi. «Non si potrà fare tutto», è la linea di Giorgetti. Un’ipotesi, che non piace ai sindacati, è garantire ai dipendenti della Pa un aumento parziale, una tantum, rinviando la discussione all’anno successivo.

Il governo prova allora il recupero crediti. Dal 2000 a fine 2022, risultano 1.153 miliardi di euro non riscossi, da ventitré milioni di contribuenti. Circa metà di questa cartelle non arrivano a mille euro. Il ritmo delle riscossioni, scrive il Sole 24 Ore, finora è stato del 13,5 per cento. Insomma: ogni cento euro accertati, lo Stato ne incassa appena 13,5». Per l’esecutivo la strada è duplice: da un lato, eliminare gli importi che non potranno più essere riscossi; dall’altro, evitare che si accumulino ulteriori carichi, accelerando sui tempi del recupero attraverso una pianificazione annuale.

Un’ultima suggestione è quella delle «baby privatizzazioni» per fare cassa. Lo Stato manterrà comunque il controllo delle partecipate le cui quote verranno eventualmente messe sul mercato, spiega La Stampa. Intoccabili, di fatto, le azioni di Enel, Ita e StMicroelectronics. Infine, ha annunciato le dimissioni il dirigente della Regione Lazio, Marcello De Angelis, autore di frasi imbarazzanti sulla strage di Bologna, di brani rock antisemiti (in passato) e al centro polemiche mai spente. «Non voglio mettere in difficoltà Giorgia».

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