La regione del fiume Evros è in Europa. Ma, all’interno dell’ Europa, non è un posto come gli altri. Anzi: è un posto diverso da tutti gli altri. Tanto per cominciare è un posto di confine: di qui c’è la Grecia e dunque l’Europa, di là c’è la Turchia e dunque migliaia di migranti che da Africa e Medio Oriente provano a raggiungere l’Europa a piedi. Passare il fiume Evros consente loro di farlo. Ma anche di infilarsi in un ginepraio di violenze, fatiche, ricatti criminali e tendopoli di fortuna, dove non solo vivono in situazione di estrema difficoltà, ma attirano su di sé anche la rabbia della popolazione locale. Oltre a questo, la regione dell’Evros, è anche uno dei posti elettoralmente più corteggiati d’Europa, dal momento che è uno dei distretti in cui più forte è la presa dell’estrema destra razzista, nazionalista e antieuropeista: alle elezioni dello scorso giugno, il partito di governo di centro destra Nea Democratia ha preso il quarantaquattro per cento dei voti, ma i gruppi di estrema (estrema) destra come Soluzione Greca e Spartiati hanno portato a casa, sommati, più del tredici per cento.
Infine è uno dei posti più militarizzati d’Europa. Lo è, per paradosso, sia dall’Unione europea che vuole mostrare all’elettorato nazionalista di quella zona fermezza e pugno di ferro sull’immigrazione (e dunque dimostrare che l’Europa non è la pappamolla che pensano) e che dunque si è data da fare per blindare e controllare l’area, con droni, telecamere a infrarossi con sensori termici e quattrocento agenti di Frontex. Ma lo è anche per mano dei vigilanti, famigerate milizie autonome di volontari di estrema destra che pattugliano il confine e che le autorità, almeno sino a questo momento non hanno saputo (o voluto) sciogliere, nonostante negli anni si siano macchiati di violenze non solo contro gli esuli, ma anche contro Ong e giornalisti.
In quest’area, tanto per dire l’aria che tira, il premier Mitsotakis, in campagna elettorale, ha promesso di erigere un muro dal sapore trumpiano, per limitare gli arrivi (e per colpire di sponda Syriza, il cui eurodeputato Dimitris Papadimoulis aveva presentato a Strasburgo un emendamento nel quale chiedeva la sospensione dei finanziamenti per la costruzione di recinzioni alle frontiere esterne dell’Unione europea).
Da qualche settimana, questo spicchio di Grecia, che sembra un’Europa in scala per quanto grandi e profonde sono i conflitti che racchiude in sé, è al centro di una feroce ondata di incendi. La peggiore mai registrata in Unione Europea: settantatré mila ettari di boscaglia andati in fumo, migliaia di sfollati e almeno venti vittime. Di queste venti vittime accertate, almeno diciotto sono migranti, in cammino verso la rotta dei Balcani. Può sembrare un dettaglio, perché in fondo le vite sono tutte uguali, ma non lo è un dettaglio, anzi è la chiave della storia di paradossi cui gli incendi hanno dato il via.
Da quando i roghi hanno preso a bruciare l’area, infatti, i gruppi di destra sia locali che nazionali, stanno facendo di tutto per addossare la colpa di questi roghi esiziali, sempre e solo ai migranti che, a seconda delle letture, potrebbero averli avviati involontariamente, con i fornelletti da campo o accendendo fuochi di fortuna, o, secondo i più radicali, li avrebbero avviati di proposito, per «bruciare tutti i greci». Ovviamente nessuna di queste teorie è avallata da nessun tipo di prova. Anzi: il sindaco di Alessandropoli, Ioannis Zaboukis, ha detto che si presume che incendi siano stati avviati dalla caduta di un fulmine.
Eppure nonostante non vi siano prove e nonostante quelle che ci siano (unite a un minimo di buonsenso) dovrebbero lasciar supporre che i migranti non c’entrino niente, la teoria del complotto ha preso piede, sapientemente alimentata dal cinismo dei partiti politici che, sul conflitto razziale, attingono il loro consenso e che dunque hanno tutto l’interesse a far credere che gli incendi siano partiti dai migranti.
Così, negli ultimi giorni, si sono contati decine di episodi di violenza e di minacce verso i migranti. Un caso, clamoroso, è stato quello di un uomo che avrebbe deciso, da solo, di ’arrestare’ una ventina di richiedenti asilo, chiudendoli nella sua roulotte e pubblicando un video nel quale, oltre a mostrare i volti terrorizzati dei suoi ’prigionieri’, esorta gli altri cittadini a fare lo stesso. Oggi l’uomo è agli arresti per sequestro di persona, ma il segno del suo delirio è rimasto, specie sui social sui quali il suo video (ora rimosso) ha ricevuto grande plauso con commenti tipo «Buttateli nel fuoco».
Ma non ci sono solo i social a incitare alla rappresaglia contro i migranti. Il leader locale di Soluzione Greca, Paraschou Papadakis, avvocato di Alessandropoli ha scritto sui suoi canali di avere «informazioni serie sugli immigrati clandestini che disturbano il lavoro dei piloti [Canadair]. Dobbiamo agire! (…) C’è una guerra, signori!». In realtà, non c’è nessuna guerra. A meno che qualcuno non è inizi una.