La notte neraIl 2 agosto della stampa democratica e i pasoliniani che ci possiamo permettere

A ogni anniversario della strage alla stazione di Bologna del 1980 c’è qualcuno che chiede un nuovo processo, alludendo a una verità nascosta da presunti complottismi manovrati dagli americani. Una semplificazione giornalistica che per molti aspiranti pensatori è diventata una liturgia

LaPresse

C’è da dire che la spettacolare “contro-Fiuggi” quotidianamente inscenata sul piano ideologico e perfino iconografico dalla fratellanza meloniana – tenendo giusto Giorgia Meloni, Guido Crosetto e un mazzetto di ministri e sottosegretari al riparo da questo permanente sabato dell’orgoglio post-fascista, celebrato a reti e ministeri unificati – rende fin troppo facile il gioco di quella pubblicistica democratica («democratica così!», alla Mario Brega), che si industria da decenni per dimostrare che c’è un unico filo nero a legare tutti i disastri, i delitti e le deviazioni della storia repubblicana.

La tesi è che un grumo di poteri occulti fascisti, mafiosi e amerikani, un po’ con le buone (con i soldi del piano Marshall, con rimbambimento consumistico e con la corruzione economica) e un po’ con le cattive (con le stragi, i depistaggi e la minacciosa incombenza degli apparati dello Stato deviati) avrebbero orientato il corso della politica italiana dallo sbarco degli americani in Sicilia nel 1943 fino allo sbarco dei nipotini del Ventennio prima al Governo, con Gianfranco Fini, poi direttamente a Palazzo Chigi, con Meloni.

E tutto questo sarebbe accaduto proprio per impedire che a vincere fosse l’Italia seria, coraggiosa e progressista – cioè il Partito Comunista italiano e solo il PCI, parlandone da vivo e solo quelli che… «il PCI era comunque una cosa diversa», parlandone da morto e imbalsamato – risoluta a liberare l’Italia da questa cupola politico-criminale e dai suoi soprintendenti fascistico-mafiosi.

Con una onestà che è poi mancata ai suoi epigoni, Pasolini aveva detto chiaramente che questo processo al Palazzo non aveva bisogno di prove, che la «verità politica» della vita nazionale era dimostrata dalla sua stessa congruenza con il presupposto ideologico della diversità comunista e dall’essere il PCI «un Paese pulito in un Paese sporco, un Paese onesto in un Paese disonesto, un Paese intelligente in un Paese idiota, un Paese colto in un Paese ignorante, un Paese umanistico in un Paese consumistico».

Pasolini scriveva di sapere la verità sui golpe, sulle stragi, e sul «gruppo di potenti, che, con l’aiuto della Cia (e in second’ordine dei colonnelli greci della mafia), hanno prima creato (del resto miseramente fallendo) una crociata anticomunista, a tamponare il ’68, e in seguito, sempre con l’aiuto e per ispirazione della Cia, si sono ricostituiti una verginità antifascista». Non aveva le prove «e nemmeno gli indizi», ammetteva, ma non pensava di averne alcun bisogno, perché per sapere tutto ciò era sufficiente il suo essere un intellettuale «che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero».

Ogni 2 agosto, anniversario della strage di Bologna, questo pasolinismo trova una liturgica rinnovazione, più che nella forma del fanatismo profetico in quella di una burocratica bigotteria. Il mettere in dubbio che dalla tortuosa e controversa (a dir poco) storia processuale su questa strage possa uscire una verità inconcussa o un articolo di fede democratica equivale, per i pasolinani che ci possiamo permettere, a una pura e semplice confessione di colpa o di complicità.

Ritenere che il modo in cui Francesca Mambro e Giusva Fioravanti sono stati condannati come esecutori materiali di quella orrenda carneficina tutto possa suscitare, fuorché fiducia nella giustizia e devozione nei suoi responsi, è diventato, parola di modissima, spregevole negazionismo (e lasciamo perdere che pure i nostri pasoliniani di seconda e terza mano su processi di tal fatta abbiano avuto da eccepire, quando non riguardavano i fascisti).

Rimane il fatto che la verità processuale sulla strage di Bologna, anche per chi non ha né nostalgia per i fascisti di ieri né simpatia per i post-fascisti di oggi, può suggerire conclusioni, che chiamano in causa il modo di fare giustizia e informazione, ben diverse da quelle di un sempiterno doppio-fondo o doppio-Stato della politica nazionale.

La notte nera della Repubblica, in cui tutti i cattivi sono neri, Yankee o con la coppola, è un prodotto di consumo giornalistico, non un comandamento civile.

 

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