Catastrofismo paralizzanteLa calma e l’ottimismo del nuovo capo dell’Ipcc

Nessun «cambio di rotta», come scrivono alcuni quotidiani negazionisti. Jim Skea non ha minimizzato la gravità e l’urgenza dell’emergenza climatica, ammettendo che ci attende un mondo più pericoloso e conflittuale. Secondo lo scienziato, però, comunicare il messaggio che «siamo tutti destinati all’estinzione» è controproducente. È necessario un approccio proattivo

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Il 26 luglio l’Ipcc, il Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico delle Nazioni unite, ha eletto il suo nuovo presidente per i prossimi cinque-sette anni: si tratta di Jim Skea, che avrà la responsabilità di guidare l’organizzazione nel suo settimo ciclo di valutazione del clima. L’ultimo rapporto di sintesi dell’Ipcc – dedicato alle cause e conseguenze del riscaldamento globale, e alle politiche da attuare per mitigarne gli effetti – è stato pubblicato a marzo.

Jim Skea è britannico, ha sessantanove anni ed è professore di Energie sostenibili all’Imperial College di Londra. Si occupa di scienza del clima da quarant’anni e collabora con l’Ipcc da circa trenta: ne ha co-presieduto il gruppo di lavoro sulla mitigazione del cambiamento climatico durante il sesto ciclo, tra le altre cose. Ha fatto sapere che le sue priorità da presidente saranno tre: «migliorare l’inclusività e la diversità, tutelare l’integrità scientifica e la rilevanza politica dei rapporti di valutazione dell’Ipcc e fare un uso efficace della migliore scienza disponibile sui cambiamenti climatici».

Nei giorni immediatamente successivi all’elezione, Skea ha rilasciato un paio di interviste ai giornali tedeschi nelle quali ha esposto la sua visione sulla crisi climatica e sull’approccio da seguire per gestirla in maniera efficace. Ha detto in sostanza che non bisogna portare avanti narrazioni catastrofiste perché sono controproducenti, e che un mondo più caldo sarà sì più pericoloso ma non segnerà la fine dell’umanità.

Parlando con il settimanale Der Spiegel, ad esempio, il nuovo capo dell’Ipcc ha spiegato che non bisogna dare un’importanza esagerata all’obiettivo di limitare l’aumento della temperatura media terrestre entro gli 1,5 gradi centigradi rispetto all’epoca pre-industriale. È un target che il gruppo considera molto importante per il contenimento degli effetti peggiori del riscaldamento globale, tra siccità prolungate e inondazioni violente, ma che probabilmente – come riconosciuto da parecchi esperti – non sarà raggiunto in tempo. Se il limite degli 1,5 gradi verrà davvero superato nel giro di un decennio, dice Skea, «non dobbiamo disperare e cadere in uno stato di shock».

Lo scienziato ha elaborato il suo pensiero in una conversazione con l’agenzia Deutsche Presse-Agentur. «Se si comunica continuamente il messaggio che siamo tutti destinati all’estinzione, questa cosa paralizzerà le persone e impedirà loro di prendere le misure necessarie per affrontare il cambiamento climatico. Il mondo non finirà se si riscalderà di più di 1,5 gradi», ha detto. 

Tuttavia, aggiunge Skea, «sarà comunque un mondo più pericoloso». Lunghi periodi di siccità abbinati a intense alluvioni potrebbero infatti ostacolare l’agricoltura in alcune regioni e diminuire la disponibilità di cibo. Le catastrofi naturali potrebbero alimentare fenomeni migratori di massa, fomentare la competizione per le risorse e i territori e aggravare l’instabilità sociale. Un pianeta più caldo, insomma, pare destinato a essere un pianeta più conflittuale. Ma l’umanità sopravviverà.

Piuttosto che rassegnarsi al pensiero di una fine inevitabile, Skea crede che ci siano ancora delle buone ragioni per essere ottimisti riguardo all’azione climatica. Le soluzioni di breve periodo per il mitigamento della crisi esistono e stanno peraltro diventando «sempre più efficienti in termini di costi». 

Nell’immediato, il presidente dell’Ipcc ha ribadito che la cosa migliore da fare è aumentare le installazioni di capacità da fonti di energia rinnovabile come l’eolico e il solare, in modo da ridurre i consumi di combustibili fossili per la generazione dell’elettricità e per l’alimentazione di alcuni mezzi di trasporto. È ormai da tempo che i rapporti del gruppo dell’Onu invitano a diminuire l’utilizzo di carbone, petrolio e gas naturale per contenere le emissioni di gas serra, di cui sono la causa principale a livello globale.

«Nel lungo termine», ha aggiunto Skea, «probabilmente non potremo fare a meno di soluzioni tecnologiche come la cattura della CO2», ossia dell’anidride carbonica emessa dagli impianti alimentati con combustibili fossili oppure già presente nell’atmosfera. L’Ipcc sostiene che la rimozione dall’aria di miliardi di tonnellate di CO2 sia fondamentale tanto quanto l’abbattimento delle nuove emissioni. Le tecnologie di cattura sono però ancora molto costose e non mature per l’utilizzo commerciale.

In ultimo, Jim Skea ha fatto notare ai media tedeschi come «l’astinenza individuale» da alcune abitudini particolarmente impattanti sia «un bene, ma da sola non porterà il cambiamento nella misura necessaria». Pur sottolineando come la scienza non abbia il compito di dire alle persone come vivere e cosa mangiare, ha detto anche che «se vogliamo vivere con maggiore consapevolezza climatica» ci sarà bisogno di soluzioni su ampia scala e di «infrastrutture completamente nuove»: «le persone non andranno in bicicletta se non ci sono piste ciclabili».

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