Nel 2022 l’Italia ha installato tre gigawatt (GW) di capacità di generazione energetica da fonti rinnovabili: la parte del leone, per via della maggiore facilità di collocazione, l’ha fatta il solare fotovoltaico con circa 2,5 GW, mentre il contributo dell’eolico si è aggirato sui cinquecentoventi megawatt (MW). Ma come è stato fatto notare dall’ultima edizione del Renewable energy report – il rapporto sulle energie rinnovabili realizzato dal Politecnico di Milano e presentato nei giorni scorsi -, il dato è positivo solo a metà.
È vero che nel 2022 si è registrata una crescita del centoventicinque per cento delle installazioni rispetto all’anno precedente. Ma la cifra è comunque ancora troppo bassa rispetto all’obiettivo di nove-dieci gigawatt annuali fissato dalla Commissione europea nel piano per la transizione ecologica al 2030.
Qualcosa è stato fatto, insomma, ma tanto resta da fare. E in poco tempo. Nel 2021, stando agli ultimi dati forniti dal Gestore dei servizi energetici (Gse), le fonti rinnovabili rappresentavano il 42,3 per cento del mix elettrico italiano; la quota del gas naturale era del 48,1 per cento e quella del carbone del cinque per cento. Nel 2022 la capacità rinnovabile installata ha raggiunto i sessantuno gigawatt totali, dicono le elaborazioni di ANIE Rinnovabili basate sulle informazioni di Terna: venticinque GW di solare fotovoltaico, diciannove di idroelettrico, dodici di eolico e cinque tra geotermico e bioenergie. La Lombardia è la Regione più virtuosa con quasi dieci gigawatt, seguita a distanza dai 6,5 GW della Puglia; male invece la Liguria con 0,4 GW.
«Senza un’accelerazione», ha spiegato Davide Chiaroni del Politecnico di Milano, «ci troveremo con una copertura del fabbisogno elettrico da rinnovabili di solo il trentaquattro per cento, contro il sessantacinque per cento richiesto dal Fit for 55 e i target ancora più alti di REPowerEU, che arrivano all’ottantaquattro per cento sulla generazione elettrica nazionale».
Eppure le ragioni economiche e occupazionali per l’aumento delle installazioni rinnovabili ci sono. Elettricità Futura, l’associazione delle imprese della filiera elettrica italiana, sostiene che l’adeguamento del sistema energetico italiano agli obiettivi di REPowerEU, tra allacciamenti di nuovi impianti per 85 GW e interventi di aggiornamento della rete, garantirà benefici economici per 360 miliardi di euro al 2030, più 540mila nuovi posti di lavoro.
L’ostacolo principale all’espansione delle rinnovabili lamentato dalle aziende sono i tempi di autorizzazione, lunghi spesso molto più del dovuto: ai due anni previsti dalla legge se ne aggiungono infatti, in media, quasi altri sei di ritardi. «L’efficienza del processo autorizzativo è certamente uno dei fattori cruciali allo sviluppo degli impianti di generazione elettrica da fonti rinnovabili», ha spiegato a Linkiesta l’economista Simona Benedettini, esperta di mercati energetici. «Oltre a questo, è altrettanto importante dotarsi delle competenze necessarie all’interno delle autorità responsabili per i processi autorizzativi».
Chiaroni sottolineava come all’Italia manchino «soprattutto i grandi impianti, con un coefficiente di saturazione per le aste che negli ultimi quattro bandi non ha mai superato il trenta per cento». In sostanza, bene i pannelli solari sui tetti delle case, ma c’è bisogno innanzitutto di grandi parchi fotovoltaici capaci di immettere tanta energia in rete.
Per stimolare questo tipo di progetti lo snellimento del permitting è necessario, ma non basta. Come ricorda Benedettini, «di fattori abilitanti gli impianti di grandi dimensioni ve ne sono molti. In primo luogo, sviluppare un livello adeguato di capacità di trasmissione elettrica per garantire la connessione di un numero crescente di unità di produzione».
Serve a poco costruire gli impianti, se l’infrastruttura non è pronta a riceverli. Andranno allora migliorati i collegamenti tra il sud e il nord della penisola – ossia tra le Regioni meridionali a maggiore potenziale rinnovabile e quelle settentrionali, più energivore per via dell’elevata concentrazione industriale – e introdotti sistemi di stoccaggio che compensino l’intermittenza di eolico e solare.
Terna, la società che gestisce le reti italiane di trasmissione elettrica, ha intenzione di spendere undici miliardi di euro per rendere l’intero sistema meglio compatibile con le fonti rinnovabili, che dipendono da dispositivi chiamati inverter per la conversione della corrente (da continua ad alternata, nel caso dei pannelli fotovoltaici) e per la stabilizzazione della frequenza (nel caso delle turbine eoliche).
Secondo Benedettini, «bisogna anche rendere i mercati per la compravendita a termine di elettricità più liquidi. Gli investimenti in impianti di produzione elettrica da fonti rinnovabili sono caratterizzati da tempi di ritorno lunghi su cui la volatilità dei prezzi di mercato determina molta incertezza».
Alla luce di ciò, è necessario «promuovere i contratti a lungo termine per l’acquisto di elettricità rinnovabili, offrendo un naturale scudo ai produttori contro questa incertezza. Ma affinché questo sia possibile è necessario agire sui fattori che in Italia, come nel resto di Europa, ostacolano la diffusione di questi contratti».
«Ricordo», conclude l’economista, «che gli obiettivi di decarbonizzazione europea cui anche l’Italia dovrà contribuire si sono fatti più sfidanti con il Piano REPowerEU. Dal precedente trentadue per cento, il target di incidenza delle fonti rinnovabili sui consumi finali lordi di energia al 2030 è stato innalzato al 42,5 per cento. Pertanto, occorre agire in modo immediato e con un approccio di sistema dove tutti, anche le comunità locali che si oppongono alle infrastrutture necessarie alla decarbonizzazione, facciano il proprio ruolo».