È la seconda volta che il governo italiano va contro una proposta di direttiva europea. Prima di quella sull’anti-corruzione, era toccato al regolamento sul certificato europeo di filiazione che in sostanza obbliga il riconoscimento delle famiglie registrate all’estero. L’implicazione con i matrimoni omosessuali è fin troppo evidente: anche in quel caso il Parlamento aveva difeso la sovranità normativa italiana e sollevato una questione di sussidiarietà.
Adesso il nodo è la cancellazione dell’abuso d’ufficio, contenuto nel ddl Nordio, sull’onda di una richiesta che viene dai sindaci. Di destra e di sinistra, perché questa generica fattispecie giuridica ha paralizzato la pubblica amministrazione per paura di mettere una firma e finire sotto processo. Ora, al di là del merito, c’è una questione di sovranismo, per il momento a bassa intensità.
Giorgia Meloni vuole far prevalere la legge nazionale italiana rispetto a quella comunitaria anti-corruzione perché su alcune materie Bruxelles non deve metterci becco. Dimenticando che l’articolo 117 della Costituzione prevede che la potestà legislativa è esercitata dallo Stato nel rispetto anche dei «vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali».
Ma lasciamo pure perdere il diritto e i vincoli, andiamo alla sostanza politica. Difficile dire me ne frego quando a Bruxelles sono molto preoccupati perché questa cancellazione può depotenziare la lotta alla corruzione. Così come non si può far finta di non vedere che questa situazione potenzialmente potrebbe portare a una procedura di infrazione a carico dell’Italia. Non è un caso che Sergio Mattarella, pur firmando la presentazione del ddl Nordio alle Camere, abbia chiesto a Meloni di prendere in considerazione i rilievi di Bruxelles. Meloni ha assicurato che durante l’iter parlamentare qualcosa verrà rettificato: non dovrebbe essere abolito tout court il reato ma precisare, tipicizzare la fattispecie per evitare la pesca a strascico dei magistrati.
Vedremo se la maggioranza aggiusterà il tiro o coglierà l’occasione per ingaggiare uno scontro in Parlamento: sovranisti versus europeisti ideologici, quelli che Meloni nel suo libro “Io sono Giorgia” paragona ai «fanatici islamisti». Quelli che vorrebbero una rapida e radicale svolta green, danneggiando intere filiere economiche e favorendo le industrie straniere (cinesi soprattutto). Sarebbero i cosiddetti “mondialisti” dediti a eliminare le differenze identitarie e i confini, favorire la sostituzione etica, quella di cui parlava Francesco Lollobrigida qualche settimana fa.
Meloni se ne guarda bene oggi dal ripetere quello che aveva scritto nel suo libro bestseller, ma c’è chi lo dice per lei, attenuando l’impatto nei confronti di una parte politica con la quale i Conservatori intendono governare a Bruxelles, cioè i Popolari. Mentre sparano cannonate contro i socialisti jihadisti, in particolare contro il vicepresidente della Commissione Ue e Commissario per il Clima Frans Timmermans. Quando hanno saputo che l’olandese lascerà la Commissione (guiderà nei Paesi Bassi la lista socialisti-verdi e proverà a fermare l’avanzata della destra), è esplosa la esultanza. «Non ci mancherà. Spero che gli elettori del suo Paese lo trattino come merita», ha detto Matteo Salvini. «La sua candidatura è una bella notizia perché dovrà prendersi un congedo dall’Europa speriamo lungo», è l’augurio al veleno di Adolfo Urso.
Sembra che Lollobrigida abbia voglia di candidarsi alle europee e controllare da vicino le danze che si apriranno per l’accordo Popolari-Conservatori. Ci vuole uno di famiglia, magari facendo il commissario all’Agricoltura. Da quella posizione sarà più facile bloccare ogni tentazione di colpire l’Italia con procedure di infrazione, di penalizzarci nelle trattative dei vari dossier, a cominciare da quello sulla riforma del Patto di stabilità. Per il momento è un’illusione, ma Meloni si sta già portando avanti sviluppando uno speciale rapporto con Ursula von der Leyen. Insieme due volte a Tunisi, su un aereo per sorvolare le zone alluvionate della Romagna, a Roma oggi per la conferenza internazionale Europa-Africa su sviluppo e migrazioni. Meloni potrebbe aiutare von der Leyen a rimanere alla presidenza della Commissione europea.
Il pericolo è che questa sia la strada che normalizzi e sani i comportamenti antieuropei di Polonia e Ungheria, e di conseguenza quelli italiani se, malauguratamente, dovesse uscire dalle urne una maggioranza di centrodestra.