Riserve di paceUna vecchia tonnara di pescatori è oggi un luogo di relax intimo e silenzioso

Il fascino ritrovato della Tonnara di Scopello, incastonata in una riserva naturale e oggi meta d’elezione per veri voyageurs du monde

Per tanto tempo la Sicilia è rimasta come ferma e sonnolenta. Forse questa è stata l’impressione di chi non ci ha vissuto e ha avuto scarse occasioni di goderla. Quello che accadeva, la novità insomma, veniva poco promossa, comunicata, proposta e di conseguenza si è perso vantaggio da un punto di vista di appeal turistico e di un certo tipo esclusivo di clientela.

Mentre la Puglia con il fenomeno masserie è andata persino oltre il suo tratto originale, in Sicilia stiamo assistendo ora a una progressiva rinascita gastronomica, enologica e di tutto il comparto ospitalità. Possiamo finalmente parlare di destination places unici in Italia anche su quest’isola, di boutique hotel, glamping, riserve naturali di charme votati all’accoglienza di un pubblico internazionale. Luoghi prima gestiti ad occhi chiusi e con la mano sinistra sono finalmente proiettati verso una direzione precisa, supervisionati da manager più consapevoli e con una serie di servizi migliorabili ma quantomeno presenti.

A poco più di un’ora di macchina da Palermo, prima di Segesta spostandosi verso Trapani, si incontra la Riserva di Scopello (che abbiamo visto ardere dolosamente in questi giorni), nota sin dal dodicesimo secolo per l’attività della tonnara.

I primi proprietari furono dei gesuiti, che abitarono questo luogo per circa trecento anni costruendo la chiesetta al centro della struttura, oggi privata e non idonea a liturgie. Il cortile che delimita l’area prende il nome di baglio e presenta ancora oggi un pavimento leggermente inclinato verso il mare. In questo modo, dai due piccoli faraglioni fronte baia, i tonnaroti potevano continuare a vedere la chiesa e tenere un punto di riferimento sulla terraferma anche dalle imbarcazioni. A differenza della tonnara di Favignana, Scopello era destinata unicamente alla cattura dei pesci senza lavorazione successiva delle carni.

Nel piccolo museo aperto al pubblico è stata allestita una galleria fotografia con immagini di Giorgio Comandé risalenti al 1978 che documentano scene di vita quotidiana della tonnara. Erano circa quaranta le persone coinvolte per tutti i mesi di caccia che da aprile a luglio abbandonavano le famiglie per trasferirsi qui e lavorare.

La grande rete, lunga tre chilometri e ancora oggi visibile nel magazzino di ingresso, era calata in primavera e lasciata in acqua fino a metà estate. Non pensate a un’unica maglia ma a una serie di camere, consequenziali, di forma quadrata e che venivano aperte o chiuse per regolare gli ingressi dei tonni. Non usando esche questa specifica forma illudeva i pesci simulando un proseguo della costa. Un corpo di guardia preposto supervisionava la tonnara giorno e notte contando i tonni che vi entravano: troppo pescato avrebbe infatti comportato un peso eccessivo nella rete rischiandone la rottura.

Il capo di tutto era il Rais, che era incaricato di formare la squadra più efficiente di tonnaroti e coordinare la mattanza. Il momento della cattura era, senza giri di parole, piuttosto trucido. I tonni venivano avvicinati con arpioni e crocchi e uccisi per dissanguamento in modo da eliminare l’istamina prodotta dall’animale nella fase di stress da uccisione e preservare la bontà della carne.

Il Rais che si rivolge alla sua squadra. Courtesy Museo della Tonnara – Scopello

Un tonno poteva arrivare anche a due metri di lunghezza e superare i cinquecento chili: ecco perché ogni pesce aveva sei uomini a lui destinati. Completato il processo a testa in giù, si pesava la preda e la si inviava a un centro di lavorazione.

Niente paura, l’ultima mattanza risale al 1984 e oggi come oggi tutto quello che resta di questa porzione di vita della Tonnara è gelosamente conservato e circoscritto al museo. Resterete stupiti, di contro, dalla magia che pervade questo luogo da quando un gruppo di amici – oggi soci – ne ha curato e preso in mano la gestione. Il restauro gentile, di gusto e non di design, rispettoso delle atmosfere originali ha fatto sì che ogni stanza sia arredata ma in modo quasi religioso, all’apparenza povero e spoglio. L’assenza di fronzoli in realtà tende una sorta di fil rouge con il passato e ne accentua la bellezza.

Il sito naturale, incastonato in questa piccola baia e curato dal mare dai suoi Faraglioni, è un luogo esteticamente ammaliante, da ogni angolatura e ora del giorno. Le camere – che sono quasi singoli appartamenti – si affacciano sul mare e sono dislocate in parte all’interno del baglio e in parte al suo esterno, dove venivano messe in secca le imbarcazioni. C’è poi una piccola spiaggia di sassi, con un breve molo da cui osservare come il sole gira sopra la testa durante il giorno per poi sparire all’orizzonte appoggiandosi alla scogliera.

Pochi gradini più su, accanto alla galleria del museo, la vecchia dimora ospita la sala delle colazioni, riservate ai pochi fortunati ospiti. Non c’è una SPA, non c’è un ristorante interno, non c’è un bar privato, non c’è una palestra, non ci sono biblioteche o altre aree di svago perché volutamente qui si resta ancorati alla Riserva Naturale in cui si trova. Il tempo sembra sospeso ed è una sensazione tangibile.

Quello che fa piacere e che va detto è che, trattandosi pur sempre di ospitalità, il personale è disponibile ed efficiente, in giusta quantità, abituato a non lesinare in consigli e chiacchiere verso gli ospiti. Sapete quanto i boutique hotel siano spesso carenti da questo punto di vista e qui, nella semplicità scarnificata del tutto, vivrete ovattati dal calore e dal rumore del mare e delle persone. Per tutti i giorni per i quali avrete voglia di astrarvi dal quotidiano, come se foste immersi in un set di un film, lunga vita alla Tonnara.

Tutte le immagini courtesy Tonnara di Scopello

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