Vivere nella città dei morti La storia di Aziza e Khalid e le loro paure per il futuro

Dopo il terremoto che ha colpito Il Cairo nel 1992, molti sfollati sono andati ad abitare nel cimitero di Al-Qarāf. All’interno, oltre le tombe, ci sono i negozi di alimentari, il bar, il gommista e altre attività, ma il presidente al-Sisi potrebbe eliminare molti di questi luoghi

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Il Cairo è una megalopoli da nove milioni di abitanti. Luci e ombre lungo le sponde del Nilo. Negozi, alberghi e appartamenti di lusso, ma anche quartieri pieni di spazzatura. I turisti arrivano in città per vedere le piramidi, la Cittadella, i musei, ma c’è un luogo meno conosciuto, ma altrettanto interessante da visitare.

Il cimitero  – maqabir, come viene chiamato dagli egiziani – di Al-Qarāfa si estende per quasi dieci chilometri. Al suo interno non ci sono solo i morti. Mezzo milione di persone vivono lì, alcune da generazioni.

L’esodo più importante avvenne nel 1992, dopo il terremoto di magnitudo 5.9 del 12 ottobre. È stato il peggior evento sismico della città: cinquecento quarantacinque morti, sei mila feriti e cinquanta mila persone senza più una casa. Molti sfollati non sapendo dove andare e avendo perso tutto, trovarono casa nel cimitero di Al-Qarāfa: la città dei morti, ma anche dei vivi. 

Senza acqua, elettricità e fognature, intere famiglie vivono e lavorano tra le stradine strette e impolverate del cimitero, in una sorta di organizzata comunità. Aziza e Khalid si sono trasferiti lì nel 1992, come molti hanno perso tutto compreso il loro piccolo negozio di frutta e verdura che avevano nella vecchia Cairo. Con molta fortuna – così raccontano – hanno trovato una tomba libera di proprietà della famiglia di un loro conoscente. Con la promessa di tenere in ordine il cortile e avere cura di chi riposa in quel luogo, possono vivere lì gratuitamente.

La parte del cimitero dove risiedono è quella adibita alle tombe di famiglia: luoghi dalla pianta quadrata che ospitano le nicchie per i defunti dello stesso nucleo familiare: da una parte le donne, dall’altra gli uomini. Spesso sono presenti i porticati, che permettono ai parenti di pregare con qualsiasi condizione metereologica.

Proprio sotto un portico Aziza e Khalid hanno allestito la loro casa e la loro attività. Si sono attrezzati con il tempo. Hanno un generatore di corrente e l’acqua per lavarsi gli viene portata in piccole cisterne. Sono diventati la drogheria della zona. Entrando dalla porta d’ingresso si nota sulla sinistra un frigo del marchio Coca-Cola. All’interno acqua e bevande. Poi ci sono biscotti, patatine e altri alimenti, ma la merce cambia ogni giorno a seconda di quello che trovano. Oltre lo spazio occupato dal frigo, sulla sinistra una piccola stanza da letto con due letti e tappeti per coprire la terra sottostante. Sulle pareti altri tessuti appesi.

Aziza ci tiene che la casa sia in ordine. Di fronte la zona notte si trova la cucina con un piccolo sofà. Appena fuori il cortile con i defunti. «Vivere vicino ai morti ci ricorda che la vita è breve e va vissuta al meglio delle nostre possibilità e con devozione». Khalid spiega che è tutto ben organizzato e non si tratta di un semplice cimitero ma di un piccolo villaggio. Alle cinque del pomeriggio, al campo da calcio iniziano i corsi per i bambini. C’è anche il bar, il gommista, il meccanico, la sarta e ogni attività di cui si possa aver bisogno. C’è chi alleva i piccioni che poi verranno cucinati.

Non ci sono insegne e non si può urlare: è comunque un cimitero e i morti vanno rispettati. É concesso però mettere davanti all’attività un segno distintivo: un manichino per la sarta, un copertone per il gommista. Questo perché a volte anche i cittadini che non vivono nel cimitero arrivano perché i prezzi sono competitivi. 

Aziza, racconta che di sera le strade si animano, i bambini tornano a casa dopo una giornata di scuola e tornano anche le persone che sono riuscite a trovare lavoro fuori dal cimitero. Lo spettacolo che diverte di più Aziza è quello dei turisti che vengono nei van a vedere il mausoleo della famiglia di Mohammed Alí, o la Moschea del sultano Sayf al-Din Inal, prima di tornare a casa passano tra le stradine con le loro reflex. Alcuni si fermano per osservare la povertà africana, ma a Aziza non dà fastidio. Fa parte del gioco: i bambini si avvicinano e chiedono un soldino che fa molto comodo e i turisti vanno via con un selfie e storie incredibili da raccontare. Ci guadagnano tutti, per questo stanno creando sempre più attività per chi viene da fuori. Alcuni aprono le loro dimore in cambio di denaro o vendono accessori fatti in casa. Ogni aiuto è un dono.

Quello che preoccupa i residenti del cimitero sono, invece, i lavori di riurbanizzazione voluti dal presidente Abdel Fattah al-Sisi, in carica dal 2014. Oltre alla creazione del nuovo museo Egizio e il relativo ponte di collegamento alle Piramidi che dovrebbe essere pronto per fine 2023, il nuovo presidente ha modernizzato la città in pochi anni. È nato il museo della Civiltà Egizia che è stato protagonista della processione delle mummie dei Faraoni e nel 2019 è stata inaugurata la più grande moschea del Paese e la più grande basilica cristiana di tutto il Medio Oriente.

Ora al-Sisi sta cercando di realizzare nuovi quartieri adatti ai palazzi della diplomazia. Per fare questo bisogna costruire ponti e autostrade che collegano la città vecchia alla nuova. Questi lavori di urbanizzazione mettono a rischio la vita nel cimitero a causa della demolizione di alcune aree. Il presidente metterà a disposizioni delle case costruite per i residenti di Al-Qarāfa, ma dovranno comunque pagare un piccolo affitto e per molti è un’opzione impossibile.

Questa iniziativa sta raccogliendo molti dissensi perché oltre a essere una casa e un luogo di riposo eterno è Patrimonio dell’umanità. Il cimitero fu costruito a partire dall’anno 680 ed è il più antico del Medio Oriente. Si sviluppò nel corso dei secoli e ha accumulato un ricco patrimonio artistico e architettonico: mausolei e tombe di politici, poeti ed eroi nazionali, tombe di sultani, principi e principesse delle dinastie fatimide e mamelucca, e molto altro.

Le autorità hanno fatto sapere che non toccheranno i settantacinque edifici classificati come monumenti storici ma il problema è più ampio e se si guarda solo il lato artistico le tombe da preservare sono molte di più di quelle. Diversi ministeri e un’organizzazione responsabile della conservazione del patrimonio architettonico della città stanno discutendo come conciliare tutela e urbanizzazione.

Nell’attesa alcune tombe sono diventate polvere come quella dello scrittore Ihsan Abdel Quddous e del giornalista Mohamed el-Tabeï. Aziza e Khalid si augurano che la loro casa non faccia la stessa fine.

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